Martedì 11 Febbraio 2025
RAFFAELE
Cronaca

La rivoluzione smart working va preparata

Raffaele

Marmo

è una cosa peggiore di una crisi: ed è quella di sprecarla. Ma, purtroppo, è proprio quello che rischia di accadere e che in larga parte è già accaduto nel pubblico impiego e nei servizi pubblici con il cosiddetto smart working.

Diciamo "cosiddetto" perché il lavorare da casa secondo le modalità e le prassi che si sono consolidate in questi mesi per un’ampia fetta dei dipendenti statali e degli enti locali ha ben poco a che fare con la rivoluzione del "lavoro agile" come la concepiscono e praticano nei luoghi dell’innovazione e del futuro diventato presente alla velocità della luce per effetto dell’emergenza Coronavirus.

Eppure, uno dei punti-chiave del Dpcm sulla gestione della seconda ondata della pandemia prevede l’ampliamento al 70-75 per cento della quota di impiegati pubblici che possono lavorare da remoto.

Ora, è del tutto evidente che, a dispetto dei ripetuti proclami propagandistici del Ministro Fabiana Dadone e di altri maggiorenti grillini e no del governo, la sola ragione che può spingere in questa direzione non ha niente a che vedere con l’organizzazione flessibile e più efficiente dei servizi pubblici e delle città,

ma serve solo a contenere

gli spostamenti e gli assembramenti delle persone sui mezzi di trasporto pubblici.

Tappare una falla (quella dell’inefficiente sistema di mobilità urbana) con la presunta valorizzazione di uno strumento di innovazione è un’operazione disonesta che finisce per svilire un meccanismo che in astratto dovrebbe far fare un salto di qualità alla Pubblica amministrazione e ai servizi da garantire a famiglie e imprese. Il punto nodale è che perché questo accada servono strumenti tecnologici adeguati, formazione appropriata e, prima di tutto, la possibilità di monitorare i risultati messi a segno da ciascun lavoratore. Altrimenti, è finzione. Anzi, peggio, è una sorta di reddito di cittadinanza in versione smart.