Lunedì 15 Luglio 2024
ELENA G. POLIDORI
Cronaca

La piaga del caporalato. Braccianti indiani come schiavi. Erano costretti a lavorare gratis

Denunciati due connazionali: pretendevano 17mila euro in cambio dell’ingresso in Italia. Il compenso di 4 euro l’ora veniva trattenuto sino all’estinzione totale del debito.

La piaga del caporalato. Braccianti indiani come schiavi. Erano costretti a lavorare gratis

La piaga del caporalato. Braccianti indiani come schiavi. Erano costretti a lavorare gratis

Non solo Sud. Anche nel Veneto la piaga del caporalato ha allungato le sue spire. Stavolta, però, a salvare 33 cittadini di origine indiana dalla riduzione In schiavitù sono state le Fiamme Gialle di Legnago che, su input della Procura della Repubblica di Verona, hanno eseguito a una serie di perquisizioni nei confronti di due cittadini di nazionalità indiana, residenti a Cologna Veneta in provincia di Verona, entrambi indagati per i reati di "riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù" e per "intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro".

Una storia che ha convinto la ministra del Lavoro, Marina Calderone, a congratularsi: "La sinergia tra corpi ispettivi potrà aumentare sempre più l’efficacia dei controlli, anche grazie ai nuovi strumenti previsti dal decreto Agricoltura appena convertito in legge il nuovo sistema informativo contro il caporalato in agricoltura e la banca dati sugli appalti nel settore agricolo a cui accedano tutte le forze in campo. Fare la differenza, giorno dopo giorno: questo il nostro obiettivo nella lotta al lavoro irregolare".

La storia dei 33 braccianti, che arriva giusto qualche ora dopo una similare nelle Langhe, sgominata sempre dai controlli della Finanza, racconta di uomini arrivati in Italia nella speranza di avere una vita migliore, poi rivelatasi – invece – un incubo. Nella ricostruzione delle Fiamme Gialle, il caso di Verona racconta di braccianti che venivano caricati all’alba su furgoni telonati, nascosti tra le cassette di ortaggi, venivano lasciati nei campi dove erano costretti a lavorare 12 ore al giorno, sette giorni su sette, praticamente gratis. Poi, al termine della giornata, venivano riportati in case fatiscenti da cui non potevano uscire. A farli vivere da schiavi due fratelli indiani, residenti a Cologna Veneta e uno già con precedenti per caporalato: a loro sono stati sequestrati 475mila euro, sono risultati titolari di ditte agricole senza dipendenti assunti e anche evasori totali. Dagli accertamenti è emerso che i due fratelli avevano richiesto ai connazionali 17mila euro in cambio dell’ingresso nel territorio nazionale e di un permesso di lavoro stagionale. Per far fronte al pagamento i braccianti sono stati costretti in alcuni casi a impegnare i loro beni di famiglia e in altri a indebitarsi direttamente con i due caporali. Una volta arrivati in Italia dovevano lavorare, di fatto senza alcuna paga, tra le 10 e le 12 ore giornaliere 7 giorni su 7, poiché il compenso di soli 4 euro l’ora stabilito dai loro caporali veniva interamente trattenuto fino alla totale estinzione del debito. A garanzia del loro silenzio sottraevano i passaporti ai braccianti e imponevano il divieto di uscire dalle fatiscenti case in cui erano costretti a vivere, ammassati e in condizioni igienico-sanitarie precarie. Chi chiedeva soldi o la restituzione dei propri documenti veniva picchiato da più persone e i documenti venivano bruciati per punizione. Le vittime sono state ora ricollocate in ambienti protetti e indirizzate verso futuri percorsi lavorativi e di inclusione sociale. Stessa strada che percorreranno altri braccianti salvati dal caporalato nelle Langhe, proprio due giorni fa. Il territorio piemontese, coperto di filari e culla di quel vino che porta in giro per il mondo l’eccellenza del Made in Italy, molto spesso vede il lavoro agricolo nelle mani di caporali senza scripoli e artefici di un sistema di sfruttamento e costrizione disumano.

Dalle indagini della Procura di Cuneo è emerso che gli indagati (tutti stranieri) "in modo disgiunto tra loro, attraverso imprese individuali a loro riconducibili, approfittando dello stato di bisogno – si legge nel rapporto dell’indagine – avrebbero reclutato lavoratori di origine prevalentemente africana, Gambia, Guinea, Nigeria, Marocco, Egitto, Senegal, Mali, Burkina Faso, Costa d’Avorio, ma anche Albania, in gran parte irregolari" con paghe di 6 euro l’ora. In due casi alcuni lavoratori, dopo essersi lamentati delle condizioni di sfruttamento, sarebbero stati puniti con violenti pestaggi, uno dei quali con l’utilizzo di un tondino di ferro prelevato dal filare di sostegno a una vigna.

A tutti e tre i caporali è stata contestata l’aggravante di aver reclutato lavoratori stranieri senza permesso di soggiorno e di avergli riservato un trattamento degradante, con la costrizione a vivere in case sovraffollate e in precarie condizioni igieniche.