Italiani e adozioni, storia di un amore agli sgoccioli. In un paese falcidiato dall’inverno demografico, alle culle vuote si accompagna il crollo delle domande presentate ai tribunali per i minorenni da coppie pronte ad aprire le porte di casa a bambini in difficoltà. Dimezzate dal 2006 al 2018, stando agli ultimi dati del Ministero di giustizia, le istanze per le adozioni di minori italiani (da 16.538 a 8.621); erose di oltre due terzi quelle internazionali (7.786 contro 2.615). Troppo facile scommettere su un ulteriore crollo dovuto al Covid-19 che assottiglia i bilanci delle aziende, figurarsi quelli delle famiglie. E che, intanto, complice il lockdown, ha ridotto della metà le adozioni internazionali concluse nei primi sei mesi dell’anno: 200 contro le 400 dello stesso periodo del 2019.
Virus a parte, la disaffezione per l’istituto adottivo viene da lontano. Colpa dei costi? È vero che solo l’iter nazionale è gratuito, ma chi imbocca la via delle adozioni Internazionali di norma è un professionista disposto a pagare 15-20mila euro per coronare il sogno di diventare genitore. Quanto ai tempi, di per sé non sono biblici. Una volta incassato, dopo i controlli e le relazioni dei servizi sociali, l’indispensabile decreto d’idoneità, nel giro di due o tre anni la procedura si chiude. Salvo intoppi, non così rari. Risultato, a pesare sulla flessione delle domande è così la sfiducia crescente in un sistema farraginoso che registra sempre meno pratiche andate a buon fine. Sul punto il report 2019 della Commissione per le adozioni internazionali evidenzia il minimo storico, con appena 968 minori accasati in italia (-14% rispetto al 2018, quando erano stati 1.130; -46,7% sul 2015). Per quest’anno, in virtù della paralisi dei tribunali e della chiusura dei voli dovute alla pandemia, le previsioni (più ottimistiche) parlano di un massimo di 400 bambini stranieri adottati.
Lo scetticismo verso l’istituto chiama in causa il lavoro di giudici minorili, servizi sociali, case famiglia, enti per le adozioni internazionali (alle prese con Paesi esteri sempre più propensi a rinvenire soluzioni interne per i loro piccoli senza famiglie).
Ad evidenziare le storture del sistema è l’avvocato Michela Scafetta, in Italia tra i massimi esperti di adozioni. "Il nostro è uno Stato che non favorisce questo istituto – è la premessa – . Si preferisce la via degli affidi dei piccoli in difficoltà nella speranza, non sempre ben riposta, di ricomporre il legame con i genitori naturali". Qui le storie si sprecano. "Posso raccontare il caso di una coppia che ha avuto in affido pre adottivo un neonato – ricorda Scafetta –. Lo ha battezzato, cresciuto con dedizione fino a quattro anni e alla fine l’ha perso, perché nel frattempo è ricomparsa la madre naturale, un’ex tossicodipendente. Beffa nella beffa, i miei assistiti non sono stati ritenuti più idonei all’adozione: per i magistrati non avevano superato il trauma del distacco".
Adottare è complicato, in alcune regioni meno di altre. "Più si scende verso sud e più diventa facile dare una nuova famiglia a un bambino, già in tenera età – incalza l’avvocato –. Certe comunità tendono a mantenere in struttura i ragazzini il più a lungo possibile, fatto salvo in virtù di rapporti per così dire non sano tra queste realtà e i potenziali genitori adottivi. Per fortuna la maggior parte delle case famiglia svolge un lavoro lodevole, ma servirebbe un controllo più attento dei servizi sociali". Una maggior vigilanza non guasterebbe anche sull’attività dei 49 enti accreditati per le adozioni internazionali. Casi limiti, come quelli di chi si reca all’estero per conoscere il bambino, scoprendo che è diverso dal minore ritratto nella foto ricevuta a casa, sfociano in cause legali e gettano un’ombra inquietante sul servizio svolto da queste realtà.