Giovedì 14 Novembre 2024
GABRIELE MORONI
Cronaca

La nuova vita di Binda: "In cella 1.286 giorni per errore. Ora salvo gli altri detenuti"

Accusato dell’omicidio di Lidia Macchi fu assolto, ora è presidente di un’associazione di volontariato. "Aiuterò i carcerati a trovare lavoro, spiegherò loro come vestirsi e come gestire i rapporti"

Stefano Binda, 55 anni, definitivamente assolto per il delitto di Lidia Macchi

Stefano Binda, 55 anni, definitivamente assolto per il delitto di Lidia Macchi

Busto Arsizio (Varese), 23 febbraio 2023 - In carcere per aiutare gli altri. Ha trascorso 1.286 giorni della sua esistenza chiuso in una cella, gravato dalla terribile accusa di essere l’assassino di Lidia Macchi, la studentessa di Varese massacrata con ventinove coltellate la sera del 5 gennaio 1987, poco prima di compiere ventuno anni. La condanna all’ergastolo in primo grado. L’assoluzione in appello con formula piena per non avere commesso il fatto, cristallizzata dalla Cassazione. Oggi, definitivamente scagionato, definitivamente libero, Stefano Binda, 55 anni, di Brebbia, una laurea in filosofia, è stato scelto come presidente di La Valle di Ezechiele organizzazione di volontariato. Si tratta di una nuova associazione costituita per sostenere i detenuti della casa circondariale di Busto Arsizio, gli ex detenuti per un lavoro una volta restituiti alla vita civile, le famiglie, le attività religiose all’interno del carcere.

Stefano Binda, vive questa nuova esperienza anche come una rivincita sul passato?

"No, in questo mio impegno non c’è nessuna rivalsa per i 1.286 giorni che ho passato in carcere ingiustamente. Il significato di questo impegno è lo stesso che ho cercato di dare alla mia detenzione: mettersi al servizio, cercare di portare speranza, positività, costruttività. Il carcere è un luogo particolare, dove anche i diritti, troppo spesso, diventano bisogni".

Come è diventato presidente dell’associazione?

"Mi è stato chiesto dai soci fondatori, don David Maria Riboldi, cappellano del carcere, con gli amici della cooperativa La Valle di Ezechiele, la presidente e alcuni volontari della disciolta associazione di Busto. Hanno pensato a me come a una persona che, avendo vissuto sulla sua pelle l’esperienza carceraria, cercando già allora di mettersi a servizio, poteva dare un certo contributo. Mi ha molto colpito il cuore di tante persone, vivaci, positive, che hanno famiglia, lavoro, carriera, e ora vogliono dedicare il loro tempo al volontariato in carcere, in favore di gente comunemente ritenuta meritevole solo del peggio. Per questo il mio rapporto privilegiato sarà con Agostino e gli amici e amiche dell’altra associazione di volontari di Busto, cui personalmente devo moltissimo".

Perché ritiene importante il volontariato in carcere?

"Ogni sistema si giudica non sulla base di ciò che non impedisce a pochi, ma sulla base di ciò che garantisce a tutti. Ha dei diritti anche chi ha gravemente violato i diritti degli altri. La situazione nelle nostre carceri è tale per cui non solo diritti fondamentali alla salute, alla relazione, all’affettività, al lavoro, ma anche diritti elementari come quello all’igiene, alla cura della persona, al vestiario, trovano risposta solo fra enormi difficoltà. Difficoltà contro cui lottano i volontari".

Quale sarà il suo impegno?

"Il sostegno alla cooperativa per l’inserimento lavorativo degli ex detenuti. I dati provano che il lavoro abbatte il rischio della recidiva a delinquere, mentre l’inattività lo aumenta. È nell’interesse anche della società che non ci si limiti ad aprire il cancello del carcere al detenuto e lasciarlo al suo destino. Ci sarà una offerta di ascolto, da persona a persona. L’aiuto per l’abbigliamento, l’igiene personale, la tessera telefonica per chiamare casa. C’è chi non ha davvero niente. Il sostegno alle famiglie. Un rapporto reciprocamente collaborativo e leale con le autorità preposte".

Pacata, dignitosa come sempre, Paolina Bettoni, la madre di Lidia Macchi. "Sono contenta per lui. Se Binda si sente di farlo sono contenta per lui. È una sua scelta. Da parte mia ho accettato la sentenza. Il mio grande rammarico è che l’autore della lettera anonima (la prosa ‘In morte di un’amica’, recapitata alla famiglia Macchi il giorno dei funerali di Lidia, ndr) non si sia più fatto vivo, non l’abbia ancora fatto, anche rimanendo anonimo".