di Armando Stella
MILANO
Monte Napoleone, la strada più ricca al mondo. E il Corvetto in fiamme, il quartiere popolare di Ramy. Che cos’è Milano?
"Dobbiamo fare lo sforzo di abbandonare le analisi schiacciate sui fenomeni estremi, e allarmanti, come se fossimo di fronte a una città fuori controllo. E insieme evitare giudizi altrettanto fuorvianti sul magnifico successo della città".
Proviamoci.
"Se dovessi fare una scelta stilistica, sarebbe quella del ma anche. Corvetto ma anche Monte Napoleone. Periferie dure ma anche luoghi d’integrazione, cooperative sociali, terzo settore, biblioteche. La cifra di Milano è molteplicità e contraddizione. Mediolanum non solo per geografia. Una città che da qualche tempo, certo, si è lasciata sedurre dall’effimero". Antonio Calabrò – 74 anni, presidente di Fondazione Assolombarda e Museimpresa, direttore di Fondazione Pirelli – è un osservatore attento delle evoluzioni e delle torsioni di Milano. Puntuale, mai retorico: "L’aria è cambiata. I divari economici e sociali sono cresciuti, l’ha documentato bene Il Giorno. Ora: è tutto sbagliato, tutto da rifare? Naturalmente no. Milano è ipercritica. Esigente. Ma ha ancora la dote della sensibilità. Virtù che non va mortificata".
La “città che sale“ di Boccioni e poi delle archistar, la Milano “place to be“ dei grattacieli, si è ripiegata su sé stessa?
"Si è fatta abbagliare dalle sue mille luci, dalle week, dall’eventismo come fenomeno di costume, dal compiacimento, dal lusso. Circoli iperbenestanti e relazioni internazionali, turismo di massa e shopping. Nel frattempo, e per fortuna, vive e resiste un’altra Milano. Quella delle aziende innovative e delle imprese degli immigrati, della solidarietà, delle università, della ricerca e della cultura".
Entriamo nelle crepe sociali.
"Il corpo di Milano è il suo ceto medio largo. E questo ceto medio è stremato. Tutto diventa troppo caro. Una famiglia si sente marginale con 5-6mila euro di stipendio al mese. Ma se Milano perde il suo ceto medio, perde sé stessa, perde anche consumi di qualità, attenzione culturale, passione per i teatri, la musica, la lettura, la comunità. Le periferie che si infiammano sono più facili da leggere. Ma il ceto medio che trasloca fuori Milano, deve fare i conti per la pizza, non trova il taxi, vorrebbe servizi più efficienti, ha un rapporto difficile con la sanità nonostante l’offerta pubblico-privata migliore d’Italia, ecco, quella fatica non si vede. Ma c’è".
Citando Calvino: "Di una città non godi le sette o le 77 meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda". Che cosa chiedono i milanesi?
"La prima richiesta è: integrazione. Tutti siamo arrivati a Milano in cerca di una migliore qualità della vita e del lavoro. Io mi sento profondamente milanese e profondamente siciliano. Questa città permetteva di integrarsi restando fedeli a sé stessi, nella religione laica del dovere".
Le “3 D“ di Giorgio Armani: discrezione, disciplina, dovere.
"È così. Una città caratterizzata dal senso del dovere e del produrre, del fare bene e del fare del bene. Una città elegante che non può risolversi soltanto nell’essere città della moda".
Come si ricuce un tessuto sociale che appare strappato?
"Milano l’ha sempre fatto. Ai divari crescenti vanno date risposte solidali. Favorendo il dialogo – molto franco, se vogliamo aspro – tra le sue componenti attive. Milano ha bisogno di buona politica: non può essere consegnata soltanto alle dinamiche di mercato".
La bolla turistica ha reso insostenibili i prezzi delle case.
"Io immagino limiti severissimi al modello Airbnb. Questa è la città degli imprenditori, non può essere ridotta a città dei rentier. L’imprenditore ha il tempo della storia, l’affittacamere quello della pigione, che è il più corto possibile. Dobbiamo pensare ai 200mila universitari che scelgono Milano dall’Italia e dall’estero: vanno premiati con studentati, housing, quartieri accessibili. Non possiamo lasciarceli scappare".
Quanto ha inciso, sulla bolla immobiliare, la flat tax per chi rientrava dall’estero?
"È stato un errore drammatico. Circa 1.600 super ricchi hanno scelto di vivere in Italia e soprattutto a Milano anziché in altre metropoli internazionali. Il mercato immobiliare è impazzito, e noi siamo diventati una sorta di paradiso fiscale".
Chi conserva ed esprime al meglio lo spirito ambrosiano?
"Dicevo del sistema universitario. Milano ha eletto cinque rettrici e due accademiche sono ai vertici delle istituzioni di Varese e Castellanza. Un segnale tutt’altro che marginale. “Far volare Milano per far volare l’Italia“, diceva lo slogan dell’Assolombarda di Gianfelice Rocca. È così".
L’arcivescovo Delpini sostiene che si è sviluppato un certo gusto per il "catastrofismo".
"Le città hanno sempre un’anima nera, ineliminabile: sono un palcoscenico del male che coesiste con un alto livello di cultura e coscienza civile. La città non è mai un paradiso".
Non usa mai la parola sicurezza, immagino non sia un caso.
"Come tutti sono preoccupato dalla microcriminalità. Ma conoscendo la storia sono più allarmato dalla disattenzione verso le mafie. Le infiltrazioni rischiano di travolgere Milano: questa è una preoccupazione seria".
1- continua