"Il modo migliore di realizzare i propri sogni è svegliarsi". L’aforisma di Paul Valéry è la stella polare di Giovanni Azzone. Il presidente di Fondazione Cariplo, classe ’62, laureato in Ingegneria delle tecnologie industriali, rettore del Politecnico di Milano dal 2010 al 2016, sta mettendo a terra i progetti dell’istituzione filantropica. Con una missione chiara: creare valore condiviso nella società. Cercando di lenire le ferite aperte: disuguaglianze, povertà educativa, diritti dei diversamente abili, uguaglianza di genere, casa. "Temi interconnessi, non ci sono ricette facili. Povertà educativa e disuguaglianze sono due paragrafi dello stesso libro".
’Che fare, dunque?’ per usare il titolo del saggio di Lev Tolstoj scritto nel lontano 1886?
"Partire dalla formazione dei disagiati per ridurre le diseguaglianze. C’è un deficit di formazione che comincia dall’asilo – frequentarlo o no fa la differenza – e continua alla primaria, dove troppi sono isolati, magari neppure sanno bene l’italiano. Tutto questo scava già fin da piccoli differenziali che poi diventano impossibili colmare".
In concreto cosa sta facendo Fondazione Cariplo?
"Abbiamo lanciato il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, diventato un modello al quale hanno aderito tutte le fondazioni bancarie. E abbiamo creato il ’doposcuola solidale’, per ragazzi senza genitori che a casa possano aiutarli. I problemi sono legati uno all’altro: con il doposcuola riduciamo la povertà educativa, consentiamo alle madri di lavorare 8 ore anziché 4 al giorno, supportiamo l’emancipazione femminile e la parità di genere".
Durante il Covid ci dicevamo: "Ne usciremo migliori". È stato davvero così?
"Io ho l’impressione che del Covid ce ne siamo dimenticati. È umano, sì. Ma non so dire se ne siamo usciti migliori".
Il tessuto sociale, milanese e in generale italiano, sembra però mostrare lacerazioni.
"Sì, ci sono. Ma ricette facili non esistono".
E qual è il ruolo della politica?
"Condizione abilitante, per dare risposte, è la conoscenza. Servono dati specifici, prima di intervenire. Ad esempio, dentro il tema del ’lavoro povero’ – cioè guadagno così poco che non riesco a mantenere la mia famiglia –, c’è il tema di quel 10,4% di Neet che non studiano né lavorano, ci sono i figli di italiani ma anche le seconde generazioni di migranti e le donne caregiver che non hanno tempo per studiare o lavorare. Così sprechiamo energie. La politica dovrebbe creare una ’piattaforma del bene’ dove ci siano dati e analisi, condivise da diverse fonti, la base per poi agire".
E l’intelligenza artificiale rischia di far sparire milioni di posti di lavoro?
"Quarant’anni fa feci la tesi di laurea sui sistemi flessibili di produzione. Allora – si diceva – ’milioni di persone perderanno il posto’. Non è finita così, perché la tecnologia in sé non è buona né cattiva. Sta a noi usarla bene, alla politica il compito di costruire norme chiare. Non possiamo permetterci di ignorare la tecnologia: se non la si governa, la società rischia di subire solo gli effetti negativi".
Capitolo casa: Milano ha quotazioni folli, che neppure il rialzo dei tassi e il calo delle compravendite ha frenato.
"Noi stiamo lavorando sul social housing, declinato in tutte le forme. Ormai si parla di social housing per famiglie, anziani, studenti e di ’service housing’ per aziende, ospedali o società come Atm che hanno difficoltà a trovare lavoratori disposti a trasferirsi a Milano per il caro casa. Noi continuiamo a investire in progetti sostenibili, però va allargata la visione del tema: se parliamo di Milano intesa nei confini amministrativi, sono 1,3 milioni di persone, come un quartiere di Pechino. Una visione provinciale, perché se vado 8 chilometri fuori Manhattan, la chiamo ancora New York. Smettiamo di considerare Milano come Area B: chi va a vivere a Lecco, Lodi, Varese può ancora sentirsi a Milano. Se allargo l’orizzonte, ho più opportunità".
E il problema dei trasporti?
"Si risolve con lo smart working per chi vive fuori Milano: concilia vita e lavoro, inquina meno. I vincoli non portano soluzioni, la tecnologia risolve problemi".
Chiudiamo con il tema migranti, divisivo ma centrale.
"Le aziende non trovano persone per lavorare, ma abbiamo una parte delle seconde generazioni di migranti che si sente esclusa. Il tema è come ingaggiarli per non sprecare energie e talenti. È difficile trovare chiavi di dialogo: mio figlio ha 17 anni ed è appassionato di rap, musica che esprime protesta, valori che non condivido: un mondo che fatico a capire, ma lì sono tanti giovani, non possiamo permetterci di non capirlo".