di Ettore Maria Colombo
È quando il filosofo Massimo Cacciari cita il ‘foedus’ ("il patto") e si lancia in dissertazioni geopolitiche, che la direzione del Pd scatta in un applauso vibrante. Al Pd piace così: riflettere, anche in una direzione nazionale che dovrebbe limitarsi a stabilire tempi e modi del congresso. La relazione introduttiva di Letta è stata accolta, invece, da tanta freddezza. Troppa. Le elezioni non le ha perse da solo. Ma, si sa, le vittorie sono collettive, le sconfitte individuali. Letta "è un uomo solo" nota un big, "lo hanno già scaricato. Mangiano segretari come cioccolatini". Al Nazareno va in onda, in streaming, per dieci ore, una riunione-fiume che presto diventa uno sfogatoio di nervi.
Letta, nella sua relazione, prova a mettere ordine sui troppi temi aperti. Il nuovo segretario arriverà a marzo e verrà scelto con un percorso che si chiuderà con le primarie. "Il simbolo del Pd rimanga così com’è, perché racconta il servizio all’Italia". Di scioglimento del partito, pure evocato, non se ne parla. Letta immagina un congresso che porti a un profondo rinnovamento e a una "vera parità di genere", ma le donne candidate ed elette sono state poche.
Poi Letta fa mea culpa ("sconfitta non catastrofica": ricorda la ‘non vittoria’ di Bersani), ma guarda avanti: "Mai più un governo di salute pubblica. Dobbiamo essere pronti a costruire una opposizione forte, sapendo anche che, quando questo governo cadrà, io non ci sarò, ma dovremo chiedere le elezioni anticipate". Poi si butta troppo avanti: vede il governo Meloni, che neppure è nato, poverino, già "in difficoltà".
Infine, chiede di scegliere i nuovi capigruppo tra le parlamentari (donne) e annuncia di non volere più alcun incarico per sé, perché "largo ai giovani". Poi, appunto, c’è la discussione. "È tempo di un’analisi approfondita", è l’appello. Più stoccate a Renzi, Calenda, Conte. Letta ribadisce che guiderà la fase che si apre sino al Congresso, per "amore del partito", ma chiede, e preme, perché questo non debba trasformarsi in un "casting di X Factor" per il segretario, né in un referendum "tra Calenda o Conte", le alleanze.
Segue dibattito e volano gli stracci. Forte tensione e battibecchi su tutto, compreso l’ordine degli interventi, i tempi e la litania – infantile – ‘dovevo parlare prima io’, ‘mi state tagliando’... La presidente dem, Valentina Cuppi, che presiede i lavori, attacca "un partito maschilista e con logica correntizia". Brucia ancora la polemica per la mancata elezione della presidente del partito, e sul piatto ci sono anche le mancate rielezioni di Morani e Cirinnà (unica a votare contro la relazione di Letta). I nervi sono tesi troppi. La tensione sale. Spunta il bilancino degli interventi: chi si è iscritto a parlare all’inizio finisce chissà quando. Brusii e contestazioni. Roberto Morassut attacca Cuppi: "Basta col bilancino". Cuppi si risente e Letta la difende: "Ognuno viene, chiede di anticipare l’intervento, parla e se ne va. Chiedo rispetto per Valentina".
Gli interventi sono decine, nessuno rinuncia. Gianni Cuperlo chiede "ancora del tempo". Stop. Intanto, la lingua batte dove il dente duole, il correntismo, affrontato in quasi tutti gli interventi pure da chi è a capo di una corrente (Provenzano, etc.). Andrea Orlando (ha un’altra corrente), poi, chiede di "riflettere sulla valutazione dello sviluppo capitalistico" e su come ‘contrastarlo’.
Il flusso di coscienza monstre dura 10 ore, ma almeno c’è un punto fermo. Il sostanziale accordo tra le componenti dem sui tempi del congresso. "Condivido la relazione del segretario, col quale ci siamo confrontati nei giorni scorsi", fa sapere Stefano Bonaccini. Il governatore emiliano è, ad oggi il principale candidato al post-Letta. Doveva parlare, ma alla fine è rimasto zitto. I suoi spiegano che è dovuto rientrare in regione, ma poi fa sapere come la pensa. I suoi dicono: vari punti sono stati chiusi a suo vantaggio. E cioè: fermati i tentativi dilatori delle correnti; fermata la variante sullo scioglimento del Pd; definiti i tempi congressuali e le regole previste, contro i tentativi di impedire le primarie; fermato il dibattito surreale sulle alleanze. Insomma, per i Bonaccini boys è una vittoria su tutta la linea.