Mercoledì 4 Dicembre 2024
REDAZIONE CRONACA

La lezione di papà Gino: "Abbiamo perso tutti. Ora bisogna fare di più"

Cecchettin era in aula: la violenza di genere si combatte con la prevenzione "Non ho più mia figlia, vorrei evitare che altri padri possano trovarsi qui come me".

La lezione di papà Gino: "Abbiamo perso tutti. Ora bisogna fare di più"

Gino Cecchettin (di spalle) stringe la mano a Giovanni Caruso, legale di Turetta; sotto, un primo piano del papà di Giulia; a sinistra, un manifesto con la 22enne uccisa

VENEZIA

"La mia sensazione è che abbiamo perso tutti come società. Non sono né più sollevato né più triste rispetto a ieri o domani. È una sensazione strana, pensavo di rimanere impassibile". Gino Cecchettin ancora una volta illumina un’altra prospettiva. Ha ascoltato la sentenza che condanna all’ergastolo l’assassino di sua figlia, è già oltre: "È stata fatta giustizia, la rispetto. Non entro nel merito della pena perché ho sempre detto che non l’avrei fatto e non lo faccio. Ma dovremmo fare di più come esseri umani. La violenza di genere va combattuta con la prevenzione, con concetti forse un po’ troppo lontani. Come essere umano mi sento sconfitto".

C’è chi si domanda come faccia a portare l’empatia a quei livelli, ad assolvere anche le contraddizioni più devastanti. Spiega che un tribunale non è la sede per onorare la memoria di Giulia. Stringe la mano di Giovanni Caruso, il difensore di Filippo Turetta, l’unico che con la sua arringa era riuscito a scomporlo. Polemiche spente, ognuno fa il suo mestiere: "Da persone oneste ci siamo chiarite". Dice: "Non mi aspetto scuse, il mio percorso è un altro. Io ho perso tutto, andrò avanti. Oggi era solo una tappa per rispettare le leggi che ci siamo dati come società civile e ora guardiamo più in là cercando di non trovarci più qui con altri papà, altri giornalisti. Mi dedicherò alla fondazione. Aiutateci perché c’è tanto da fare".

Travolto dal dolore più atroce, ha scelto dal primo momento di non piangersi addosso e di non stare in silenzio. Ha cominciato a fare domande anche scomode sul risultato di una cultura patriarcale che ancora ci riguarda. Ha cercato le parole per ricordare chi era Giulia e cosa ha imparato da lei. I giorni della gioia e i giorni del dolore, l’imprevedibile poesia di un uomo che è titolare di una piccola azienda elettronica e si è trovato in prima linea contro la violenza di genere in memoria di sua figlia. Oggi potrebbe essere soddisfatto. Non lo è. "La violenza di genere non si combatte con le pene ma con la cultura. Come papà non è cambiato nulla rispetto a un anno fa. Il percorso si fa su altri temi e altri banchi".

Prima la morte della moglie, poi Giulia. Aveva già spiegato di essere "una persona razionale": "Ho capito che la rabbia sarebbe arrivata e mi avrebbe fatto più male che bene. Ho perso una figlia e non volevo perdere anche gli altri due. Sentivo il dovere di continuare a essere il perno di una famiglia unita anche se ridotta, di non farmi travolgere". L’ispirazione? Giulia. "Mia figlia vedeva sempre il bello dell’estistenza anche quando era difficile. Sono stato privato della sua vita ma ho voluto, in suo nome, spezzare la logica della rabbia e del rancore".

Aveva raccontato di essere stato un bambino travolto dalla frustrazione: voleva fare il calciatore, papà gli gettò dalla finestra la borsa con dentro la tuta e il resto. "Poi sono riuscito a perdonarlo, l’ho visto piangere. E da genitore ho capito di dovere valorizzare l’unicità dei miei figli. Sapevo farlo. Semplicemente perché sapevo quello che non dovevo fare".

Viviana Ponchia