"Sarebbe bello se questa partita fosse una liberazione per tutti, come lo fu per me quell’urlo nella finale del mondiale".
Anche oggi che di anni ne ha 66, Marco Tardelli è per tutti un’icona che sfugge al tempo. Il suo volto sarà per sempre quello trasfigurato dalla gioia, sua e di una nazione intera, dopo quel secondo gol alla Germania che mise al sicuro il mundial del 1982.
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Tardelli, possiamo azzardare un paragone?
"Quale?"
Il pubblico che torna allo stadio oggi a Reggio Emilia è il simbolo di un Paese che si riprende la libertà, come lei in quella corsa a squarciagola.
"Io ci sarò, per lavoro, al Mapei Stadium. E spero proprio che quei 4.300 spettatori possano viverla come me allora. Sì, l’analogia con quel momento c’è".
Quel suo urlo unisce l’Italia ancora oggi, quasi 39 anni dopo.
"Non era nulla di studiato, era la gioia per aver raggiunto un traguardo che sognavo fin da bambino, una liberazione totale. Allora l’Italia visse quel momento di esaltazione per tutto quello che era successo prima, stavolta è il peso dei mesi della pandemia che proviamo a scacciare. È sicuramente un momento importante per il rilancio del calcio e dello sport in generale".
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Ci si poteva arrivare prima?
"Questo non sta a noi dirlo, c’è chi deve occuparsi di queste scelte. Noi possiamo soltanto dire grazie per quello che ci viene concesso. Non è la prima volta che ci si prova, stavolta ci sono riusciti".
È vero che che gli sportivi sono i più bravi ad adattarsi anche in questi momenti?
"Lo sport è una scuola di sopravvivenza, è sempre stato così. Forma una grande disciplina che ti dà equilibrio, ti permette di avere la pazienza di aspettare che passi il brutto momento".
Lei ne ha passati in questi mesi?
"Io so di essere un privilegiato, ho continuato a lavorare per la Domenica Sportiva, vivendo a Roma facevo su e giù verso Milano. A volte ho dovuto lavorare a distanza come tante altre persone, bisognava farlo e l’ho fatto".
Il calcio è sempre stato una valvola di sfogo.
"Secondo me è già importante che sia potuto andare avanti. Con tutti i problemi che abbiamo avuto, senza il pallone sarebbe andata peggio".
E adesso che succederà?
"Adesso ci auguriamo che tutto questo nostro lavoro, fatto anche sulla testa, ci porti a poter stare più sereni. Dovremo tornare ad abituarci a quello che c’era prima, e non sarà facile".
Si aspetta che certi cambiamenti nei comportamenti resistano?
"Di sicuro anche quando le riaperture saranno totali, ci sarà un atteggiamento generale più cauto. È vero che poi ci si dimentica di tutto, ma mi aspetto di non vedere più gli assembramenti di una volta. Anche adesso non siamo ancora completamente liberi, pure chi è vaccinato deve stare attento. Ma già la mascherina è un cambio notevole, e il fatto di non poter abbracciare le persone come prima. Ormai non ce ne accorgiamo più, ma non è un cambio da poco".