Martedì 2 Luglio 2024

La Commissione europea. Tra de Gaulle e il 1968. Quel percorso a ostacoli dei presidenti pionieri

Il tedesco Hallstein e il belga Rey ricoprirono il “top job“ tra il 1958 e il 1970. La personalità forte del Général mise in crisi le neonate istituzioni comunitarie. Ma già negli anni della contestazione la vecchia Cee pensava all’allargamento.

La Commissione europea. Tra de Gaulle e il 1968. Quel percorso a ostacoli dei presidenti pionieri

La Commissione europea. Tra de Gaulle e il 1968. Quel percorso a ostacoli dei presidenti pionieri

di Piero S.

Graglia

In principio fu un tedesco: il democratico-cristiano Walter Hallstein. Il primo presidente della Commissione esecutiva della Comunità economica europea (quella che oggi chiamiamo Commissione europea) era un politico navigato, tra i fondatori della Repubblica federale di Germania dopo la Seconda guerra mondiale e, per anni, influente architetto della politica estera tedesca come segretario di Stato e sottosegretario agli Esteri del nuovo Stato.

Tuttavia, un segno deciso lo lasciò soprattutto come presidente della Commissione della Cee negli anni più importanti, quelli iniziali durante i quali la Comunità avrebbe preso le caratteristiche che poi si è portata dietro anche quando si è trasformata in Unione europea. Erano gli anni del Boom, un fenomeno che coinvolse tutti i Paesi di quella che veniva chiamata "la piccola Europa": i “sei“ (Germania occidentale, Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo) che, timidamente, avevano deciso tra il 1955 e il 1957 di provare a istituire un "mercato comune" e un’unione doganale (la Cee). Insieme alla Cee era nata una seconda Comunità, di ideazione francese, considerata ben più importante, la Comunità europea dell’energia atomica. Ironia della storia, oggi si studia soprattutto la Cee, mentre la Ceea (o Euratom) è rimasta una promessa a metà.

Dal 1958 al 1967 Hallstein, convinto federalista, accompagnò il processo di integrazione in anni di vorticoso sviluppo economico: la libera circolazione di merci e lavoratori e, in prospettiva, capitali e servizi, con il connesso processo di abbattimento delle barriere doganali interne, furono le condizioni fondamentali per favorire la grande espansione dell’economia dei paesi dell’Europa occidentale.

Hallstein seppe guidare la Cee e accompagnare questo processo espansivo con intelligenza e, all’inizio del 1965, si rese conto che i “sei” avevano sostanzialmente bisogno di due cose: nuove politiche comuni accanto alla prima e – per il momento – unica politica comune, quella agricola, e un governo comune dei processi economici. Propose così un progetto di ridefinizione delle finanze comunitarie: la Commissione avrebbe gestito autonomamente le entrate provenienti dai dazi doganali imposti alle merci importate dai paesi esterni alla comunità, avendo così il controllo di "risorse proprie". Denaro fresco, per sostenere nuove politiche comuni e approfondire il processo di integrazione. Una delle idee di Delors, con venti anni di anticipo. Solo i due francesi, su 9 commissari, votarono contro.

L’idea provocò un terremoto: non solo era nata all’interno della Commissione senza consultare i governi dei Paesi membri, ma essa incontrò la netta opposizione del governo francese e del presidente Charles de Gaulle. Il Général temeva l’aumento del carattere sovranazionale della Comunità e il ruolo della Commissione, trasformando quella istituzione – che lui definiva un gruppo di burocrati non eletti e politicamente irresponsabili – nel dominus del sistema comunitario. Il 30 giugno 1965 si aprì così la "crisi della sedia vuota": la Francia ritirò i rappresentanti dal Consiglio dei ministri della Cee, provocando di fatto la paralisi del sistema comunitario. De Gaulle accettò di sospendere la protesta solo quando ebbe assicurazioni sul fatto che ogni Stato membro avrebbe avuto il potere di veto sulle decisioni del Consiglio. Niente di nuovo sotto il sole, rispetto a oggi.

L’ostinazione di de Gaulle costò cara ad Hallstein, scaricato dal governo tedesco e sacrificato sull’altare della riconciliazione post-bellica con la Francia. Hallstein venne eletto presidente del Movimento europeo ma non ricoprì più ruoli di primo piano in Europa; dopo l’esperienza della Commissione fece in tempo a pubblicare un libro prezioso: Europa Federazione incompiuta, pubblicato in diverse edizioni e in otto lingue ma oggi dimenticato. La Cee aveva avuto la prima occasione di muoversi verso un sistema "federale", con un bilancio indipendente, invece i governi avevano scelto la concertazione e il "negoziato permanente". Il processo di integrazione andò avanti mantenendo la caratteristica di un sistema spesso ostaggio degli umori nazionali e nazionalistici.

Dopo Hallstein il secondo presidente della Commissione, il belga Jean Rey, fu un presidente di transizione, dal 1967 al 1970. Pure lui convinto federalista, ex prigioniero di guerra in Germania, credeva nell’unità europea come strumento per superare i conflitti continentali, ma non riuscì a fare nulla per portare avanti le proposte del predecessore, che pur condivideva. Gli anni ’60 si chiusero nella contestazione sociale, economica e politica, preparando la Commissione e la Cee alla nuova sfida di un allargamento che, dall’agosto 1961, vedeva la Gran Bretagna scalpitare per far parte di quel fortunato gruppo di Paesi che sembravano aver trovato la chiave per crescere insieme.

1 - continua