Domenica 28 Luglio 2024

La Commissione europea. Santer, che fine ingloriosa. La corruzione (degli altri) vanificò un buon lavoro

Il collegio guidato dall’ex premier lussemburghese fu costretto alle dimissioni. Finì sotto inchiesta la francese Cresson che però rifiutava di fare un passo indietro. Durante il mandato progressi su euro, allargamento e revisione di Maastricht.

La Commissione europea. Santer, che fine ingloriosa. La corruzione (degli altri) vanificò un buon lavoro

Il collegio guidato dall’ex premier lussemburghese fu costretto alle dimissioni. Finì sotto inchiesta la francese Cresson che però rifiutava di fare un passo indietro. Durante il mandato progressi su euro, allargamento e revisione di Maastricht.

di Piero S.

Graglia

Il secondo lussemburghese al comando della Commissione venne scelto per stanchezza. Nel giugno 1994 due candidati erano in corsa per il dopo Delors: Ruud Lubbers, primo ministro olandese, e Jean-Luc Dehaene, primo ministro belga. Il più forte, dopo una prima votazione nel Consiglio europeo a Corfù, risultò Dehaene (otto voti); Lubbers prese tre voti e lord Brittan, candidato di bandiera britannico, ne prese uno. Lo spagnolo Felipe González e l’italiano Berlusconi tolsero a quel punto il loro sostegno a Lubbers, ma il premier britannico John Major, per pura ripicca, continuò a dire “no“ a Dehaene. Mancava l’unanimità su Dehaene, ma tutti sembravano invece disponibili a dire “sì“ a Jacques Santer, in procinto di giurare come primo ministro del piccolo Lussemburgo per la terza volta.

Fu la contiguità geografica a segnare il destino di Santer: nell’impossibilità di mettere d’accordo il belga e l’olandese, Santer si ritrovò presidente in pectore mentre era già primo ministro (Jean-Claude Juncker prese il suo posto). Il candidato aveva dato ottima prova come presidente di turno della Comunità nel 1991, era solido e credibile, insomma, era sì il "più piccolo denominatore comune" sulla scena, ma la teneva bene.

Doveva raccogliere l’eredità di 10 anni di presidenza Delors, anni in cui la Comunità era diventata Unione europea, varato nuove politiche (ambiente, ricerca, reti transeuropee, politica monetaria) e creato lo strumento dei fondi europei. Santer fu il primo presidente a vivere la "nuova" Unione, dovendo per forza scontare una serie di problemi, di crescita e di organizzazione.

La crescita: il 1° gennaio 1995, in coincidenza con l’insediamento della nuova Commissione, entrarono Austria, Finlandia e Svezia. Non si trattava di un allargamento problematico come quello britannico del 1973, ma era pur sempre uno scossone agli equilibri consolidati. Ogni allargamento implica nuovi posti di commissario e la ridistribuzione degli incarichi (cioè le "direzioni generali" che, nella Commissione, sono come i ministeri di un governo nazionale). Si tratta di un problema che non sempre viene risolto a livello di negoziato tra gli Stati – l’esperienza attuale insegna – e lascia strascichi e difficoltà per il presidente, che prova la sua leadership su questo aspetto.

L’organizzazione: già con Delors si era osservato un affaticamento della Commissione per l’aumento delle competenze e del personale a fronte di un regolamento interno che poteva essere cambiato solo con l’assenso del Consiglio e una procedura piuttosto complicata. Si faceva quindi ricorso spesso a esperti esterni a tempo determinato (con contratti cosiddetti “sottomarini”) che nascondevano, inevitabilmente, il rischio di malfunzionamenti se non malversazioni. Il bubbone non tardò a scoppiare.

Nel settembre 1998 la Commissaria alla Ricerca, la francese Édith Cresson, aveva avviato una azione legale contro il giornale Libération che l’aveva accusata di corruzione per la nomina di un amico, il dentista parigino Philippe Berthelot (poi risultato suo amante), come "visitatore scientifico". La stampa fece il tiro al piccione, con una serie di inchieste giornalistiche che coinvolsero altri commissari e lambirono lo stesso Santer. Il presidente non aveva facoltà di licenziare la commissaria: provò con l’invito alle dimissioni, ma invano. Il presidente Chirac intimò a Cresson di restare in carica per motivi di prestigio nazionale: un ex primo ministro lussemburghese non poteva spingere alle dimissioni una ex prima ministra francese.

Il Parlamento prese posizione con un primo voto "di censura" della Commissione che mancò l’obiettivo dei due terzi con 293 sì e 232 no. Venne convocata una commissione di inchiesta indipendente che chiuse i lavori affermando che "non una sola persona nella Commissione Santer ha dimostrato di essere affidabile". A suo modo una sentenza peggio di un voto di sfiducia. Temendo un secondo voto di censura del Parlamento, Santer si dimise e con lui in blocco tutta la Commissione (anche una incolpevole Emma Bonino che protestò la sua correttezza). Nel 1995 Santer era stato il primo presidente a ricevere il voto di gradimento del Parlamento e i suoi commissari erano stati sottoposti ad audizioni. La Commissione non era più alle sole dipendenze del Consiglio ma iniziava a vivere i problemi di ogni dinamica democratica.

Guardando ai risultati, nonostante la fine ingloriosa del suo mandato, non fu una Commissione inerte. Aveva preparato l’adozione effettiva dell’euro; impostato l’allargamento a Est; tenuto a battesimo un allargamento e una prima revisione del trattato di Maastricht (Amsterdam 1997) con l’inserimento dell’accordo di Schengen nel patrimonio normativo della Ue. I risultati vennero messi in secondo piano dalla brutta vicenda delle dimissioni per frode.

6- continua