di Piero S.
Graglia
Alla fine degli anni ’70 l’Europa aveva perso l’innocenza. La fine della fase espansiva, quel periodo che in Francia viene chiamato i Trente glorieuses, i trenta anni dal 1945 al ’75, per alcuni Paesi (l’Italia in particolare) si era mutata nell’incubo della instabilità economica, del terrorismo politico, dell’incertezza sociale.
La Gran Bretagna era infine entrata nella Comunità nel gennaio 1973 dopo una attesa di ben dodici anni (dal 1961), quasi prostrandosi al soglio di de Gaulle e pagando un prezzo pesante, in termini di condizioni di adesione. Eppure, aveva poi confermato con un referendum popolare nel 1975, con un incredibile 67% di yes, la sua adesione. Tra i britannici che fecero campagna a favore, sui giornali e in televisione, in maniera assidua, c’era un laburista, uno dei pochi nel Partito a essere convinto europeista: Roy Jenkins.
Le sue posizioni non erano ben viste all’interno del Labour Party, il cui leader, Hugh Gaitskell aveva definito l’adesione alla Cee "la fine di mille anni di storia nazionale"; pur essendo nato laburista e dichiarandosi orgogliosamente socialista, Jenkins non ci pensò due volte a nutrire il suo europeismo addirittura scindendo il partito e fondando il Social Democratic Party. Non era peraltro un avventuriero alle prime armi: era stato due volte ministro dell’Interno e una volta cancelliere dello Scacchiere (cioè ministro delle Finanze).
Nelle sue memorie (era un buon storico, l’unico alla guida della Commissione) Jenkins descrive le basi del suo europeismo, conseguenza della sua visione della posizione britannica in Europa: "afflitta dal complesso della grande potenza", la Gran Bretagna è "ansiosa di giocare alla pari con gli Stati Uniti e la Russia sovietica, mentre la sua economia viene surclassata da quella tedesca e di altri Paesi europei". Il suo europeismo partì quindi dall’opportunismo, per poi farsi convinto e creativo alla guida della Commissione. La sua forza fu quella di non avere alcuna esperienza di politica europea, ma una grande esperienza di politica britannica, per sua natura diversa da quella continentale: pragmatica, open-minded verso le idee dell’avversario che, spesso, diventa compagno di strada per brevi tratti in vista di obiettivi comuni.
Cercando di definire il suo programma nell’ottobre 1977, con un importante discorso pronunciato all’Istituto universitario europeo di Fiesole, Jenkins pose al centro il tema dell’integrazione monetaria, non senza avere nei mesi precedenti sondato Francia e Germania e Italia su un possibile Sistema monetario europeo (Sme). Di fatto, era ciò che serviva al sistema economico europeo, sempre instabile per la decisione presa sei anni prima da Nixon di far fluttuare il dollaro liberamente.
Il "serpente monetario" che in quell’occasione era stato creato, cioè una banda di fluttuazione controllata dei cambi monetari per le valute europee, non bastava più. La Commissione Jenkins propose una "unità di conto europea", la European currency unit, che in acronimo si leggeva ECU, come lo scudo nella Francia di Luigi XI: un piccolo fremito nazionalista riempì di tardivo orgoglio i francesi.
Ogni moneta Cee aveva un “peso“ e un valore di cambio rispetto all’ECU e su tale base si calcolarono scambi commerciali interni e contributi europei; l’ECU fu poi anche il punto di riferimento per il cambio tra le valute nazionali e l’Euro. Si trattò del principale contributo che il pragmatico Jenkins dette all’integrazione europea in anni difficili, capofila di una specie di burocrate che oggi, purtroppo, a causa della Brexit, a Bruxelles non si incontra più: il civil servant britannico, preparato e tenace, colonna dei negoziati commerciali che, soprattutto col Terzo Mondo, la Cee avviò alla metà degli anni Settanta.
Dopo di lui arrivò un europeista federalista di stampo liberale, il lussemburghese Gaston Thorn (1981-1985) che dovette da un lato gestire la difficile vita dello Sme e dall’altro gestire la richiesta di adesione, già fatta durante gli anni di Jenkins, dei Paesi mediterranei meno sviluppati. La Spagna, la Grecia e il Portogallo, usciti tutti tra il 1975 e il 1977 da regimi dittatoriali, premevano per un’adesione che non si presentava facile, ma politicamente necessaria.
Il gran problema di Gaston Thorn però fu una questione più tecnica e meno politica: la cosiddetta BBQ, British Budgetary Question, che qualcuno definì "la maledetta questione inglese" (Bloody British Question). La conservatrice Margaret Thatcher, arrivata al governo nel 1979, dopo aver visto con sollievo decollare Jenkins da Bruxelles, adesso batteva i pugni sul tavolo e chiedeva la restituzione di gran parte del contributo britannico versato sin dall’adesione. In parte aveva ragione, anche se i modi non furono mai garbati. In quel periodo, però, le buone maniere stavano scomparendo rapidamente da Bruxelles, come gli anni successivi dovevano mostrare.
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