di Piero S.
Graglia
Nessuno lo sentì arrivare, ma nel 1989 lo statunitense Newsweek lo definì "lo Zar d’Europa" mentre The Sun, tabloid britannico, un anno dopo lo mandò pubblicamente a quel paese in prima pagina con un titolo divenuto famoso (Up Yours, Delors!). Jacques Delors fu l’uomo europeo del decennio 1985-’95, per le sue scelte e per lo stile, dispoticamente gentile.
Difficile definire la sua collocazione politica. Aveva collaborato con due gollisti come François-Xavier Ortoli e Jacques Chaban-Delmas, ma non lo si poteva definire un gollista; frequentava partiti di ispirazione socialista e appoggiò la campagna elettorale di François Mitterrand, ma non nascose la sua vicinanza a circoli politici di ispirazione cattolica. Il suo nome è legato a François Mitterrand forse solo per comodità, poiché non mancarono scontri tra i due.
Del resto, Delors non era stata la prima scelta di Mitterrand quando si trattò di sostituire Gaston Thorn: lui pensava al suo ministro degli Esteri, Claude Cheysson. Furono Helmut Kohl e Margaret Thatcher a insistere per Delors, convinti entrambi che fosse più controllabile. Il suo programma poteva richiamare Jean Monnet, il padre del metodo funzionalista: foglia dopo foglia per arrivare al cuore del risultato che, in teoria, era quello della completa integrazione europea, economica e politica; tuttavia non siamo di fronte a un federalista tipo Hallstein o Spinelli. Un tecnico illuminato e caparbio, piuttosto. Per lui, fondamentale prima di tutto era passare dal "mercato comune" al "mercato unico", con la rimozione di quelle "barriere improprie" che gli Stati avevano messo in piedi al posto dei dazi interni, eliminati nel 1968.
Qualsiasi prodotto poteva essere sottoposto a molti ostacoli di natura non tariffaria: specifiche di produzione differenti, regolamenti nazionali sugli imballaggi, norme contrastanti che rendevano difficile per i produttori adeguarsi, aumentando i costi di produzione. Chi oggi si lamenta della troppa normativa dell’Unione, non tiene conto che un mercato unico, per esistere, ha bisogno di regole uniche. Quello che fece Delors dal 1985 in poi fu abbattere tutte le "barriere improprie", approvando circa 300 "norme Cee" che resero possibile la realizzazione del mercato unico nel 1992: non solo libera circolazione, ma unicità di criteri produttivi e distributivi.
Il passo successivo per Delors era obbligato: un mercato unico per funzionare deve operare all’interno di sistemi economici compatibili. La parola chiave fu quindi "coesione economica e sociale", da raggiungere attraverso un complesso sistema di redistribuzione di risorse (i "fondi europei") che avrebbe permesso a tutti gli Stati di raggiungere un livello di sviluppo simile eliminando squilibri interni. Coesione economica e sociale, appunto. Alcuni "fondi" esistevano sin dalla nascita della Cee, senza mai essere stati finanziati, come il Fse; altri erano nati dopo, come il Fesr; altri ancora li creò la Commissione Delors.
Sempre per logica, un sistema siffatto non poteva basarsi su sistemi monetari distinti, con le inevitabili instabilità date dai tassi di cambio variabili nello Sme: la moneta unica si imponeva. Una posizione sulla quale Delors trovò importanti alleati, come l’italiano Tommaso Padoa-Schioppa, e nemici ostinati, come il banchiere centrale tedesco Pohl e lo stesso Kohl, fino al 1991. La svolta del 1989, con la necessità di ripensare le basi di tutto il sistema comunitario, lo vide iperattivo. Seppe ad esempio giocare bene le sue carte con il Parlamento europeo, che già nel periodo 1979-’84 aveva cercato di aumentare i suoi poteri fino a preparare, su impulso di Spinelli, un antesignano progetto di trattato sull’Unione europea. Intuì la necessità di dare stabilità finanziaria all’Unione con un bilancio pluriennale. Promosse l’ingresso "in Europa" dei Paesi usciti dalla dittatura delle "democrazie popolari".
Fu sempre un grande suggeritore per i governi che, in questo periodo, condivisero un "euro-ottimismo" che si estese anche oltre Atlantico. Fu invece la bestia nera di Margaret Thatcher, che voleva i vantaggi dell’integrazione, senza pagarne gli oneri. Non poté fare nulla nei confronti della politica estera comune, anche se Delors prese parte ai G7 di quegli anni, arrivando ad avere anche il mandato statunitense per gestire gli aiuti economici verso l’Europa dell’Est. Ma la politica estera non era il suo interesse principale poiché, funzionalista sin nel midollo, aveva nel cauto gradualismo il suo vangelo di riferimento.
L’Unione europea deve a lui la parte migliore della sua odierna struttura ambigua: la parte economica e commerciale, completamente integrata e funzionante. Invece la politica estera e di difesa è acerba e ancora sull’albero. Per lei si sta cercando un demiurgo come lui, che spinga i governi avanti su un percorso da loro ambito, ma allo stesso tempo rifiutato.
5- continua