Giovedì 21 Novembre 2024
REDAZIONE CRONACA

La Commissione europea. Dall’euro all’allargamento. La rivoluzione di Prodi non bastò a rieleggerlo

Dal 1999 al 2004 l’ex premier e creatore dell’Ulivo ridisegnò il volto della Ue. Oltre a moneta unica e adesione dell’Est, fu impostata la politica estera comune. Ma l’Europa restò alla ricerca di una nuova identità che molti osteggiavano.

La Commissione europea. Dall’euro all’allargamento. La rivoluzione di Prodi non bastò a rieleggerlo

Dal 1999 al 2004 l’ex premier e creatore dell’Ulivo ridisegnò il volto della Ue. Oltre a moneta unica e adesione dell’Est, fu impostata la politica estera comune. Ma l’Europa restò alla ricerca di una nuova identità che molti osteggiavano.

di Piero S.

Graglia

Lo scandalo della Commissione Santer, con gli imbarazzanti risultati dell’inchiesta che ne aveva sottolineato il malfunzionamento, non era un’eredità facile da sostenere. Chiunque fosse stato scelto dopo doveva restituire credibilità alla Commissione e rimettere in sesto i rapporti con il Parlamento che chiedeva codici di condotta più chiari ed efficienti per i commissari.

Su spinta del governo italiano, la scelta cadde sul nome di Romano Prodi. Questi aveva le credenziali più solide fino ad allora mai viste in un candidato alla presidenza. Prima di tutto era un ex presidente del Consiglio di uno dei grandi Stati fondatori (fino ad allora solo Santer aveva guidato un governo, nel piccolo Lussemburgo). Inoltre era un leader di rilievo con la sua creatura, l’Ulivo, modello di aggregazione progressista. Infine, aveva dalla sua una solida visione non improvvisata: la lunga esperienza alla guida dell’Iri, la vicinanza con il gruppo culturale ed editoriale del Mulino di Bologna, l’esperienza di governo trovavano la sintesi in un europeismo federalista pragmatico, lontano dalla retorica europea che spesso abitava i partiti italiani, di centro, di sinistra e di destra.

Presentandosi al Parlamento Ue nell’aprile 1999 dopo essere stato designato in pectore dal Consiglio europeo di Berlino a marzo, Prodi esponeva i punti qualificanti del suo programma: una necessaria ristrutturazione dei metodi di lavoro della Commissione per rendere l’Unione una "scatola di vetro"; l’uso delle tecnologie dell’informazione nel rapporto tra istituzioni e tra le istituzioni e il pubblico; la realizzazione effettiva dell’Unione monetaria con l’arrivo dell’euro come valuta reale; l’imminente allargamento verso i Paesi dell’Europa dell’Est, preconizzato da Delors, impostato da Santer e da realizzarsi ora con le conseguenti modifiche istituzionali e delle politiche comuni che esso implicava; l’emergenza dell’Ue come attore internazionale, coi problemi di impostazione della “Politica estera e di sicurezza comune” che il Trattato di Maastricht aveva lanciato.

Un programma di gran lunga più ambizioso e complesso di tutti quelli che fino a quel momento si erano visti. Segno anche del peso crescente che la Commissione aveva ormai assunto nel sistema istituzionale dell’Unione. Il Parlamento, da parte sua, approvò la commissione Prodi con un voto che era quasi un plebiscito: 392 voti a favore, 72 contro e 41 astenuti.

I risultati non mancarono, ma anche le difficoltà. La riforma delle procedure di lavoro prese praticamente tutta la vita della Commissione e fu gestita dal vicepresidente Neil Kinnock e da Prodi stesso con misure draconiane. Una su tutte: la fine dell’assegnazione dei direttori amministrativi dei “ministeri” della Commissione, le direzioni generali, sempre ai soliti Paesi, adottando invece una rotazione periodica. In questo modo certe DG particolarmente ambite, come quella Agricoltura, cessarono di essere appannaggio dei soliti noti. Venne potenziata in maniera significativa la capacità della Commissione di comunicare con il pubblico, creando un servizio che rispondeva direttamente al presidente. Il criterio generale era fare meglio con meno risorse, e si trattò di una cura salutare. Talmente efficace nel rompere “santuari” nazionali all’interno della Commissione, che forse fu alla base della mancata riconferma di Prodi.

L’introduzione dell’euro invece non rappresentava un problema, a parte il caso italiano, unico nell’Unione. Il governo Berlusconi II smantellò le misure e gli strumenti di controllo che Prodi, quando era al governo, aveva creato per monitorare il passaggio dalla lira all’euro, e questo si tramutò in una speculazione sui prezzi, dal 1° gennaio 2002, che diventò la “colpa” dell’euro nella vulgata italiana.

L’allargamento a Est, per agevolare la transizione democratica, fu un’altra realizzazione epocale. Prodi trovò molte resistenze ad accettare la dimensione globale dell’allargamento e non vinse diffidenze e scetticismi dei Paesi “ricchi”, subendo la dimensione politica dell’allargamento come qualcosa di subordinato alla convenienza economica. Si tenga conto poi che il processo si sovrappose alla discussione sul "futuro dell’Europa" e sulla sua Costituzione che animò la prima grande Convenzione europea: una tela di Penelope che sarebbe poi stata resa nulla dal voto francese e olandese del 2005, che respinse il progetto. L’Unione restava senza una Costituzione proprio mentre si ampliava come spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

Nel frattempo, l’11 settembre 2001, la guerra in Afghanistan e poi in Iraq, il Kosovo misero l’Unione e la sua “strategia di sicurezza” sotto una tremenda pressione, eliminando ogni velleità europea di coordinamento. Il mondo era cambiato, e pure l’Europa lo era, alla ricerca di una nuova identità che purtroppo Prodi non poteva imporre e che Usa e Stati membri non volevano accettare.

7- continua