di Nino
Femiani
È stata una delle vittorie più esaltanti contro Cosa Nostra. La cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro, con lo smantellamento della sua rete di connivenze e complicità, ha rappresentato nel 2023 il punto più alto della lotta alla Mafia. Con l’arresto e la morte per cancro di ’Diabolik’ (lo chiamavano così per la sua capacità di sfuggire alle forze dell’ordine, ma a Castelvetrano lo avevano battezzato come ’U Sicc’ per la sua magrezza), Cosa Nostra si è di nuovo inabissata, un mimetismo suggerito da tre fattori. Il primo è che sono numerosi i membri dei clan arrestati e processati. Il secondo è che sta dando risultati la strategia della confisca. Il terzo, ma non ultimo, è l’utilizzo di tecnologie avanzate, analisi delle comunicazioni elettroniche, e indagini finanziarie che hanno migliorato la capacità di raccogliere prove e smascherare gli affiliati. Tre fattori utilizzati per l’arresto di Matteo Messina Denaro, aggiunti a un pizzico di buona sorte che non guasta mai.
L’ultimo grande boss latitante è stato arrestato all’alba del 16 gennaio 2023 dai carabinieri alla clinica privata ’Maddalena’, nel centro di Palermo. "L’accusa che si muove a Matteo Messina Denaro è di avere deliberato le stragi. Quindi ci occupiamo di un mandante, non di un esecutore – ha detto il procuratore generale Antonino Patti nel corso della sua requisitoria al processo di appello che si tenne il 27 ottobre 2022 –. L’imputato era parte di un organismo riservato, direttamente alle dipendenze di Totò Riina, un gruppo denominato la ‘Super cosa’". D’altra parte tra Messina Denaro e Riina c’era totale e reciproco rapporto di fiducia, iniziato negli anni Ottanta, senza mai attriti o incrinature. Anche dopo le stragi e dopo che Riina venne arrestato il 15 gennaio 1993, ’U Sicc’ continuò a esercitare la sua egemonia. E questo nonostante la sua giovane età.
Era incensurato, sconosciuto alle forze dell’ordine – diventerà latitante soltanto il 2 giugno del ‘93 – e in quel momento libero di muoversi (addirittura alcune foto lo ritraggono in platea al teatro Parioli di Roma prima dell’attentato a Maurizio Costanzo). Matteo era capace a livello criminale di ogni impresa e Riina intuì che la pasta era quella giusta. La sua morte, avvenuta nella notte tra domenica 24 e lunedì 25 settembre all’ospedale dell’Aquila a 61 anni, lascia però senza una risposta i segreti sulle stragi di mafia del 1992 e del 1993 e sulle complicità politiche e istituzionali che hanno permesso al mafioso di vivere da latitante per quasi trent’anni. D’altronde, al momento dell’arresto, Messina Denaro ha detto al procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia: "Con voi parlo, ma non collaborerò mai".
Eppure nonostante il silenzio, gli investigatori hanno fatto luce sulla trama di affiliati. Alcuni sono nomi sconosciuti, incensurati, mai indagati prima. Altri invece sono vecchie conoscenze come il ‘prestanome’ Leonardo Bonafede (Matteo ne aveva preso addirittura l’identità), il cui disvelamento aveva fatto dire al gip Alfredo Montalto: "La tutela della latitanza di Messina Denaro è stata affidata, non solo a soggetti sconosciuti e inimmaginabili, ma soprattutto a un soggetto conosciutissimo dalle forze dell’ordine e cioè a quel Leonardo Bonafede da sempre ben noto, oltre che come reggente della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, soprattutto per la sua trascorsa frequentazione e amicizia con il padre di Messina Denaro".
L’arresto di ’Diabolik’ segna un punto a favore dello Stato, ma guai a pensare che la guerra a Cosa Nostra sia vinta. "La mafia è camaleontica e cerca costantemente nuovi modi per infiltrarsi e prosperare", dice l’aggiunto palermitano Paolo Guido. Ci sono nel 2024 sfide significative da affrontare, inclusi fenomeni come la corruzione, la complicità a livello locale, lo spostamento delle risorse da riciclare in aree diverse dalla Sicilia, e soprattutto il continuo adattamento delle organizzazioni criminali alle pressioni statali.