di Giovanni
Panettiere
Tensione mai così alle stelle fra Kiev e Santa Sede al punto che, se non è ancora rottura totale, siamo all’affossamento, da parte ucraina, della travagliata missione di pace affidata dal Papa al cardinale Matteo Zuppi. In altro modo non potrebbero suonare le dichiarazioni a mezzo stampa di Mykhailo Podolyak, capo consigliere del presidente Volodymyr Zelensky – in pratica l’ombra di quest’ultimo sin dai primi istanti dell’invasione di Mosca dell’ex repubblica sovietica –, su Francesco che non può avere "nessun ruolo di mediazione" nel conflitto in quanto "filorusso, non credibile" e su non meglio precisati "investimenti che la Russia sta facendo nella banca vaticana". Esternazioni che tradiscono i risentimenti ucraini verso l’azione pastorale non tanto politica, volta per questo a far tacere le armi piuttosto che a farle arrivare, propria della Santa Sede nel conflitto. E che acuiscono a dismisura le distanze col Vaticano dopo che a maggio Kiev, per bocca di uno Zelensky uscito corrucciato dall’udienza col Papa, aveva già rigettato qualsiasi tentativo di pace orchestrato dalla Santa Sede.
Oltretevere si prova a far buon viso a cattiva sorte. Dai Sacri palazzi filtra la ferma intenzione comunque di andare avanti con la missione affidata al capo dei vescovi italiani, ma sbigottimento e delusione si fanno cocenti anche perché la sortita di Podolyak arriva a stretto giro dal faccia a faccia entro le mura leonine, tutt’altro che sereno, fra il Papa e i vescovi ucraini di rito greco-cattolico. A far traboccare il vaso dei rapporti, in una comune considerazione a ribasso delle quotazioni vaticane sia per la Chiesa cattolica ucraina di rito orientale che per il governo di un Paese a larga maggioranza ortodosso – pur se con intensità e accenti differenti –, è stato il recente riferimento di Bergoglio alla "grande madre Russia" durante un suo incontro con dei giovani russi. Quasi che il suo fosse un assist all’imperialismo di Putin, in barba al fatto che in quest’anno e mezzo di guerra il Pontefice abbia invitato più volte i fedeli "a pregare per la martoriata Ucraina" e inviato consistenti aiuti materiali a un popolo vittima di "un’aggressione sacrilega".
Niente da fare, il tempo non sempre cancella incomprensioni e ambivalenze, vere o temute. Troppo pesante per Kiev ’il peccato originale’ di Francesco che, coi carri armati di Mosca da poco entrati in Ucraina, si recò d’istinto dall’ambasciatore russo presso la Santa Sede e non dal suo omologo ucraino. "Dopotutto - è la conclusione di Podolyak nell’intervista all’emittente televisiva ucraina Canale 24 -, se una persona ignora chiaramente il diritto della Russia di uccidere i cittadini di un altro paese su un altro territorio sovrano, ciò significa promuovere la guerra. Hai solo bisogno di chiamare le cose col loro nome. Pertanto, il Vaticano non può avere alcuna funzione di mediazione, perché sarebbe una funzione che ingannerebbe l’Ucraina o la giustizia".
Kiev, Mosca, Washington e adesso? Che ne sarà della missione Zuppi per la pace? Si sa che l’arcivescovo di Bologna dovrebbe proseguire la sua rotta in direzione Cina, alleata non belligerante di Mosca ma, dopo l’affondo ucraino, sarà quantomeno difficile andare avanti come se il pieno discredito del ruolo di mediatore del Papa non si fosse consumato. Resta il fatto che sin dall’inizio la Santa Sede ha tenuto a precisare che la sua più che un’azione diplomatica in senso proprio è un intervento umanitario. Si punta a favorire lo scambio di prigionieri e a far tornare a casa i bambini ucraini strappati alle loro famiglie dagli occupanti russi. La pace è solo un passo successivo, da costruire nel tempo. Per Kiev continua a far rima "con la vittoria" sul campo, per Mosca resta addirittura una parola estranea al vocabolario guerrafondaio del Cremlino.