Lunedì 23 Dicembre 2024
Giovanni Panettiere
Giovanni Panettiere
Cronaca

L’offensiva d’Israele a Gaza, la storica Fattorini: “Ecco perché non è un genocidio”

L’esperta di rapporti fra Chiesa ed ebraismo analizza il contesto attuale in Terra Santa sullo sfondo della richiesta del Papa d’indagare a fondo sulla natura della condotta militare di Tel Aviv nella Striscia

Roma, 18 novembre 2024 – Professoressa Emma Fattorini, prima di decifrare le parole del Papa, rompiamo gli indugi: quello d’Israele a Gaza è un genocidio?

“A mio parere il termine non è appropriato con riferimento alle tremende perdite umane inflitte da quella che considero l’inaccettabile e sbagliata politica di Netanyahu – risponde l’ordinaria di Storia contemporanea alla Sapienza, autrice del volume La Chiesa e le leggi razziali –. Il genocidio è altro“.

Può giustificare la sua posizione?

“Ci possono essere anche le stragi più efferate, i crimini di guerra o di apartheid, ma genocidio ha un significato ben preciso che non deriva dalla sua gravità. Discusso e studiato dagli storici, dopo essere stato coniato nel 1944 dal giurista polacco di origine ebraica Lemkin, indica ’la metodica distruzione di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso’. E questo non è certamente ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza”.

Magari sarà solo questione di tempo per un riconoscimento unanime da parte degli esperti, nel frattempo però una commissione Onu imputa all’esercito d’Israele l’adozione di ‘metodi da genocidio’ nella Striscia.… . 

"Non c’è unanimità di giudizio. Negli anni Novanta si sono avuti i genocidi in Ruanda e Bosnia. Ci volle tempo per definire genocidio anche quello degli armeni, uno sterminio che cominciò nella primavera del 1915. A tale definizione  concorse proprio papa Bergoglio“.

Adesso il Pontefice si volge alla Striscia di Gaza, in che termini, professoressa? 

“Bergoglio chiede agli ‘esperti’ un parere, del tutto en passant a proposito del tema delle migrazioni, in caso di guerra. Una frase concisa che non attribuirei ad un risorgente antisemitismo della Chiesa, ma alla sua preoccupazione umanitaria per le vittime di Gaza“.

Quello tra la Santa Sede e lo Stato d’Israele è un rapporto viziato ab origine, dal punto di vista storico, considerando che il riconoscimento vaticano dello Stato ebraico arrivò solo nel 1993?

"E’ stato sicuramente un percorso molto lungo. Tante sono state le ragioni. Penso al bisogno di proteggere i cristiani del Medio Oriente da possibili rappresaglie del mondo arabo ad un diffuso antigiudaismo che si intrecciava e, in molti casi alimentava l’antisemitismo. Ma non dimenticherei di certo anche la difficoltà, che forse si insinua ancora oggi, nel comprendere il legame speciale del popolo ebraico con la Terra di Israele“.

Anche il particolare status di Gerusalemme, città cara a cristiani, ebrei ed islamici, ha giocato un suo ruolo

"Sì, non dimentichiamo che lì si custodiscono i luoghi sacri delle origine del cristianesimo, difesi nei secoli nei modi che sappiamo. Dopo un anno e mezzo di trattative lo Stato di Israele e la santa Sede firmarono l’accordo-quadro che riconosce la natura unica delle relazioni diplomatiche tra la Chiesa e il popolo ebraico. Fu un passo importantissimo che sanciva e portava a compimento la grande svolta avviata dal Concilio Vaticano II, a cominciare dall’enciclica Nostra aetate”.