Bologna, 31 marzo 2017 - FATIMA, la chiameremo così, non sa chi sia Hina. Non sa che undici anni fa, quando lei era ancora all’asilo, in Bangladesh, quella ragazza che osò ribellarsi alla famiglia e alle tradizioni islamiche venne uccisa dai parenti in un paesino della cintura di Brescia. Fatima, che di anni ne ha 14 e vive a Bologna, prova gli stessi sentimenti di Hina. Non vuole portare il velo che, invece, la famiglia le impone. Si vuole comportare come le amiche occidentali: vuole usare il telefonino, chattare, parlare con i ragazzi. «Cosa c’è di male?», si dispera. Non immagina, però, la punizione che l’aspetta a casa. La madre, infatti, mercoledì sera, decide di passare ai fatti. Brutalmente: le rasa la testa a zero.
UN GESTO che fa affiorare tempi bui, un affronto che arriva dopo mesi di scontri, vessazioni, umiliazioni. Tutto esplode ieri. Fatima va comunque a scuola (una Media) e quando vede l’insegnante scoppia in lacrime: «Aiutatemi». La prof capisce che dietro a quella ragazza senza capelli c’è una storia obliqua, di sofferenza. Ora, grazie al coraggio e alla fermezza della preside che si è subito rivolta alle autorità, il caso è sul tavolo dei carabinieri, che oggi sentiranno altri insegnanti; poi toccherà ai servizi sociali e alla procura dei minori indagare su cosa stia accadendo nella casa di Fatima.
INSIEME ai genitori e alle sorelle la ragazza è arrivata diversi anni anni fa a Bologna dal Bangladesh. E subito si è integrata. Da tempo, appena usciva di casa, si toglieva il velo che le veniva imposto dai familiari; poi, mentre rincasava, lo indossava di nuovo in modo da non farsi scoprire. La madre, però, era già stata avvertita dei comportamenti della ragazzina e l’aveva ammonita, qualche settimana fa, tagliandole alcune ciocche. Fatima però non riusciva a portarlo il velo islamico, nonostante le intimidazioni: «Non voglio più stare nella mia famiglia, mi pressano in continuazione, mi dicono che non sono una buona figlia – ha raccontato alle insegnanti –. Anche le mie sorelle non vorrebbero portarlo, ma si adeguano all’imposizione». Fatima invece no, «non mi riconosco dietro quella sciarpa», dice alle compagne e alle prof. Non solo: la ragazzina è disperata e teme che la famiglia la rimandi in Bangladesh. Da tempo i genitori le hanno imposto di non parlare con i ragazzi e da svariate settimane non le fanno nemmeno più vedere le sue amiche. Quella di Fatima è una prigione: non ha il cellulare, perché il telefonino può utilizzarlo solo il padre, e non può vedere nessuno. Le resta solo la scuola e nella scuola, dove peraltro eccelle, ha visto una via d’uscita.
ORA L’ESPOSTO dell’istituto comprensivo dovrà essere vagliato con attenzione dal magistrato e non è escluso che si intervenga direttamente sulla famiglia della ragazzina. Gli insegnanti che le hanno parlato l’hanno trovata impaurita, ma comunque ferma nelle sue posizioni: questo nonostante le continue pressioni psicologiche esercitate nei suoi confronti soprattutto dalla madre. Fatima non vuole fare la fine di Hina: «Mandatemi in un’altra famiglia», ha chiesto fra le lacrime, ringraziando insegnante e preside.