Roma, 2 agosto 2016 - Cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere maggiore ed ex prefetto per il clero, dopo il tragico attentato alla chiesa in Normandia una parte del mondo musulmano ha preso le distanze dal terrorismo jihadista tanto che ieri numerosi fedeli e imam hanno partecipato alla messa domenicale nelle chiese. E’ una reazione sufficiente? “Una certa parte del mondo islamico sì è prontamente dissociata, unendosi al coro di sdegno per quanto accaduto. Certamente, è un errore di prospettiva attendersi che i modi di comunicazione ed i linguaggi tipicamente occidentali siano "in blocco" assunti da una cultura e da una tradizione così diverse. Se tutto il mondo islamico reagisse unito, come l'Occidente si attende, vorrebbe dire che l'integrazione è riuscita e compiuta. È sotto gli occhi di tutti, purtroppo, quanto questa realtà sia lontana”.
Che cosa serve per una vera integrazione? “Per integrare, è indispensabile avere una identità nella quale integrare, conoscere e riconoscere le radici della cultura, nella quale l'altro è chiamato ad integrarsi, e superare ogni senso di colpa ed ogni complesso di inferiorità determinati dalla cattiva, o parziale o preconcetta lettura della storia. Una Europa, che odia se stessa, non ha alcun futuro e non sarà capace di integrare alcuno”.
La linea del Papa è molto prudente. Rifiuta l’equazione islamici uguale terroristi. Lei è d’accordo? E’ vero che quella che stiamo vivendo non è una guerra di religione? “La linea di papa Francesco non è tanto da interpretare semplicemente come calcolata prudenza, ma è molto di più! È un invito ad allargare lo sguardo e a riconoscere le autentiche radici della guerra, che sono certamente storiche, culturali, ma soprattutto, come per ogni guerra , economiche. Non penso che il dibattito debba soffermarsi innanzitutto sul tema della radice religiosa o meno, islamista o meno, della guerra, quanto, piuttosto, dell'annuncio forte del Pontefice, il quale, senza mediazioni, continua a dire all'Europa e al mondo che "siamo in guerra", e ben pochi pare se ne accorgano davvero, a cominciare da molti governanti. È fuori dubbio che la maggior parte dei recenti attentati si ispiri direttamente, o indirettamente ad una lettura radicalizzata dell'Islam, ancora incapace di qualunque lettura storico-critica e di un autentico e dirimente paragone con la ragione umana”.
In questo modo non c’è il rischio di assolvere delle responsabilità che magari andrebbero anche ricercate nel modo in cui vengono vissute certe religioni? “Non sta ad un cardinale cattolico giudicare come un mussulmano vive la propria fede. Certamente, emerge con forza una verità ineludibile: l'unico possibile terreno di incontro con ogni uomo è costituito dalla comune ragione, da quel Logos partecipato ad ogni essere umano, attraverso la creazione, che per noi cristiani è diventato carne in Gesù di Nazareth. Senza ripartire dalla comune ragione, che in Occidente va urgentemente riscoperta nella sua potenza metafisica e in Oriente nella sua capacità critica, non vedo altri possibili terreni di incontro. L'elementare rispetto dell'altro, della sua intangibile dignità, della sua vita, lo stesso rispetto dei diritti umani fondamentali si fonda sul retto uso di ragione. Forse, se una differenza grande può essere individuata tra il cristianesimo ed ogni altra tradizione religiosa, essa è individuata proprio nella libertà. La libertà con la quale Dio ha creato il mondo, con la quale il Figlio di Dio lo ha salvato e nella quale lo Spirito Santo e la Chiesa fanno vivere gli uomini, non costringendo alcuno a credere senza libertà e ad agire contro ragione”.
Ma la sola linea del dialogo non rischia di essere perdente di fronte alla minaccia terroristica dell’Isis? “Il dialogo è assolutamente indispensabile ed appartiene alla coscienza matura dell'Occidente; presuppone l'esistenza di due ragioni, dia-logos, che desiderino e vogliano realmente confrontarsi. Dobbiamo chiederci, con sano realismo, se esistano queste due ragioni, o se la parola dialogo non si riduca ad un mantra, che un Occidente disorientato e privo di identità continua a ripetere. Ciò non di meno, come cristiani, abbiamo imparato da Gesù a trasformare ogni circostanza in occasione di bene, anzi è Egli stesso che vince il male con il bene. Dunque, anche questi atti terroristici, devono spronare le nostre coscienze a rivolgersi più intensamente a Dio, a pregare di più, a fasciare il mondo di adorazione eucaristica continuata, incatenando il male con la forza del Santo Rosario, innalzato alla Beata Vergine Maria, Regina della pace e Madre di tutti i popoli. Solo una riscoperta della propria identità, culturale e religiosa, permetterà una risposta adeguata, capace, da un lato, di non rinunciare alla propria identità e, dall'altro, di non lasciarsi annientare. La legittima difesa, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, è sempre lecita quando immediata e proporzionata ed è doverosa, quando ad essere colpito è il più debole. In tal senso, gli Stati ed i governi non possono venir meno al proprio dovere di difesa dei cittadini, anche in maniera laica, anche al di là di ciò che l'ispirazione confessionale di tipo cristiano potrebbe indicare”. Serve una militarizzazione delle chiese dopo Rouen? “È impensabile far presidiare ogni chiesa d'Europa dalle forze dell'ordine. Non ne abbiamo la capacità, non ci sono i numeri e, di fatto, significherebbe aver già perso, essere già ostaggi in casa nostra. La soluzione non è certamente quella proposta da alcuni leader, che hanno invocato una maggiore laicità dello Stato, per arginare questi fenomeni, ma è esattamente il contrario. È necessario comprendere ciò che, oltre settant'anni di comunismo hanno insegnato all'umanità: l'uomo, senza la dimensione religiosa non può vivere. E’ giunto forse, per l'Occidente, il momento di chiedersi se sia più logico, sensato e sicuro recuperare la propria identità cristiana, oppure continuare a negarla e ad umiliarla, affidandosi ad incerte, improbabili ed evidentemente pericolose 'nuove avventure religiose'".