Bologna, 19 dicembre 2023 – Periodicamente si torna a parlare della Iptv, il sistema che permette di guardare la televisione mediante una connessione a internet. Una pratica perfettamente legale, se ci si limita a guardare i canali in chiaro, ma che sfocia nella pirateria se utilizzata per accedere ai canali normalmente a pagamento.
Come funzionano: la differenza rispetto alle piattaforme
A primo impatto, è semplice associare la Iptv alle piattaforme di streaming come Netflix e Prime Video, ma si tratta di sistemi totalmente diversi. Questi ultimi utilizzano la tecnologia Over-the-top e richiedono la sottoscrizione di un abbonamento che permette di usufruire del servizio tramite un portale internet o un’app. La Iptv, invece, si basa su playlist con contenuti in formato M3U, che possono essere gratis e a disposizione di tutti o rese disponibili a pagamento. Tali contenuti sono poi “letti” tramite una chiavetta collegata al proprio televisore, mediante decoder illegali detti ‘pezzotti’ o anche tramite applicazioni specifiche.
Il confine tra legale e illegale
Se si utilizzasse la Iptv per accedere a canali come quelli della Rai o alcuni della Mediaset (Rete 4, Canale 5, Italia 1), allora non si starebbe commettendo alcun crimine, proprio perché si tratta di servizi in chiaro. La pirateria subentra nel momento in cui la playlist comprende canali pay – come quelli di Sky, di Mediaset Infinity o Dazn – o film e serie presenti sulle piattaforme di streaming. Ed è così che in molti si arricchiscono: vengono messe a disposizione playlist illegali, che a prezzi modici – anche di soli 10 euro al mese – permettono di guardare contenuti di diversi servizi, i cui singoli abbonamenti sommati verrebbero a costare diverse decine di euro (se non anche un centinaio) allo spettatore.
Chi c’è dietro
Spesso dietro a queste attività illegali ci sono delle vere e proprie organizzazioni criminali, con gerarchie e ruoli al loro interno e giri da centinaia di migliaia – o addirittura milioni – di euro. Chi di dovere si intesta gli abbonamenti grazia a documenti falsi che ne rendono difficile l’identificazione, per poi condividere i contenuti con coloro disposti a pagarli. Un sistema così complesso da prestare la dovuta attenzione anche al ‘marketing’: i social pullulano di gruppi, banner pubblicitari e inviti che richiamano alle convenienti offerte dei provider di Iptv.
Le sanzioni: chi viene punito
Le pene sono molto severe per chi trasmette contenuti illegali via Iptv: si può arrivare fino a una condanna a 3 anni di reclusione. Neanche i clienti sono al sicuro: le multe per loro possono raggiungere la cifra di 5.000 euro.