Lucca, 24 gennaio 2025 – Pensa al cibo tutto il giorno, ha sempre fame. E mangia di continuo, con la testa. Al bar si riempie gli occhi di zucchero, creme, calorie. Poi prende un caffè amaro. A pranzo, una mela. E se la bilancia segna un etto in meno quel giorno ha vinto. Claudio Gemignani ha 43 anni, è alto un metro e ottantatré e pesa 68 chili, quattordici in meno di quelli necessari per essere considerato un adulto sano. È consigliere comunale a Gombereto, comune di Bagni di Lucca, insegnante di religione alle elementari e fa parte della minoranza maschile che soffre di disturbi alimentari. Racconta l’anoressia come una partita a carte. Da un lato lui, uomo e non più giovanissimo, dentro un inferno considerato riserva speciale per ragazzine. Dall’altro “la bastarda”, la malattia subdola che lo sfida da dieci anni. Astuzie, bugie, vergogna: mette tutto sul piatto perché altri trovino il coraggio di farlo. Perché “tutti possono chiedere aiuto e salvarsi”.
Signor Gemignani, ecco la domanda da non fare mai: perché non mangia?
“La risposta classica di un anoressico infastidito è: non lo so. Ma può andare bene anche il vecchio slogan, magro è bello. Io mi sono ridotto al sondino naso gastrico, sono stato cinque mesi in una struttura e sto per tornarci. Però sono furbissimo e non scheletrico e quindi maschero bene. Anzi mi preoccupo quando in giro mi dicono: ti vedo in forma. Per me significa avere preso peso, bisogno di compensazione immediata”.
Compensazione in che senso?
“Mangiare ancora meno, camminare di più. Galleggio soffrendo e patteggio con la bilancia elettronica: quella non sgarra mai, ma io prima di salirci mi svuoto, evito di bere. Tolgo anche la catenina. Prendo nota di quello che entra. Un cappuccino a colazione, a pranzo niente mensa ma una mela in macchina, un succo di frutta a metà pomeriggio per non cascare a terra e una cena abbastanza decente: pane, un po’ di affettato, un’altra mela. Da piano terapeutico dovrei assumere 2500 calorie e non arrivo a meno della metà. Il problema è quando ti invitano al ristorante”.
Come è iniziato?
“Mi ci sono trovato dentro, anche se ho sempre scelto lo yogurt magro. Lo intuivo, me lo hanno spiegato: è tutto legato al controllo. Nel mio caso, come in tanti altri, il problema alimentare va a braccetto con il disturbo ossessivo compulsivo. La mela per esempio: deve essere messa in un determinato posto e restare lì. L’acqua pure”.
Lei non si nasconde. Essere consapevoli significa già avere svoltato.
“Inutile nascondersi in un paese di 50 abitanti. So che da solo non riesco a venirne fuori, ho chiesto e trovato aiuto in una squadra di medici e infermieri fantastici. Torno davanti alle mie paure, a piangere davanti a un piatto che non riesco a buttare giù”.
Ma paura di cosa?
“Siamo sempre lì: aumentare di peso e perdere il controllo. Tanti soffrono in silenzio, io ho deciso di rendere pubblica la relazione con questa malattia che ti manipola. Pensi di fregarla ma è lei a dirti di non mangiare la brioche. E tu in fondo sei felice. Ero felice anche dopo un crollo drammatico a 60 chili che ha richiesto il sondino: lo attaccavo alle sacche e poi tornavo a fare le mie cose come se nulla fosse. Per questo vado a farmi curare. Voglio il mio bene ed è inutile continuare a fare il furbo”.
Ha ceduto al panettone a Natale?
“Ceduto e poi compensato. E chissà quanti come me, intrappolati fra la tempesta di programmi culinari e le chiappe sode delle passerelle. Che società assurda quella che idolatra il corpo e a un anoressico terrorizzato dal biscotto dice dai mangia. Io non so se ne verrò mai fuori, ma so che in questa partita voglio almeno dare le carte”.