"Chiariamo. Non ho inventato un giocattolo, anzi: ho scoperto un oggetto tridimensionale che poteva diventare un rompicapo logico o addirittura un’opera d’arte. E soprattutto una filosofia di vita". Eccolo qui Erno Rubik, il professore d’architettura ungherese che nel ‘74 ha cambiato la storia con il Cubo. Una mania collettiva. Un poliedro a sei colori, semplice e complicatissimo, fatto di cubetti che ruotano attorno a un asse interno invisibile. Nato come Magic Cube, è stato più propriamente ribattezzato Cubo di Rubik nel 1980. Il puzzle più venduto di sempre: 350 milioni di pezzi a inizio ‘89, poi nessuno ha più tenuto dietro al conto. Ci sono 43 trilioni di modi per disporre i quadrati nell’ordine giusto. Il campione degli speedcuber è un ragazzo cinese, Yusheng Du, ha composto le sei facce – ciascuna di un unico colore – in 3 secondi e 47 centesimi. Il primatista italiano è un sedicenne romano, Mattia Galentino: ha impiegato due secondi in più. Un robot ci ha messo meno di 4 decimi, un battito di ciglia. Ma tanti si sono arresi allo strapotere di quel coso indecifrabile. Uomo di molta ironia e poche parole, Rubik a 76 anni ha rotto il silenzio con un’autobiografia: Il Cubo e io, edita in Italia dalla Utet. È scritta a quattro mani, se così si può dire. L’autore ha un doppio. Perché il rompicapo che ha incantato il mondo possiede una personalità propria: a metà tra una formula di Einstein e Alice nel labirinto delle meraviglie.
Signor Rubik, qual è il vero volto del Cubo?
"Il suo carattere si mostra nell’interazione con chi lo muove. Può assumere un’espressione perplessa o frustrata. Oppure rabbiosa. O ancora trionfante se trova la chiave del rebus. L’immagine che preferisco è quella di un bambino curioso, immerso nei pensieri mentre lavora alla soluzione. Una soluzione che è la sua, diversa da tutte le altre".
Perché ideare un gioco così difficile?
"Il Cubo è diventato un puzzle solo quando l’ho vestito di colori, indispensabili a seguirne i movimenti. Allora ho capito che rappresenta una sfida unica per la mente".
Era certo di risolverlo?
"Prima che diventasse un prodotto commerciale dovevo assicurarmi che fosse possibile vincere la sfida. Non era ovvio quando ho rimescolato il primo Cubo".
Ognuno di noi ha un rapporto diverso con il Cubo: dal suo punto di vista è più filosofia o magia?
"L’una e l’altra stanno negli occhi di chi guarda. Il Cubo è una tela che si riempie dei pensieri del giocatore. Rivela come siamo fatti: le nostre emozioni, la ricerca, la capacità di risolvere i problemi".
Il Cubo è ordine o caos? È logica o mistero?
"Non c’è niente di esoterico. È costruito su rigide leggi della fisica e dimostra i principi della matematica dalla teoria dei gruppi a quella combinatoria. È possibile risolverlo con pazienza e determinazione".
Uno su sette nel mondo ha giocato con il Cubo: qual è la ragione del successo?
"Ho cercato di capirlo trovando però solo parti di una risposta più generale. Il Cubo insegue l’armonia suscitando emozioni positive e negative. Ci sono i momenti ‘aha’ quando ce la fai. C’è la frustrazione, l’impazienza, il fastidio perché non riesci a venirne a capo".
Aveva 30 anni quando è nato il Cubo: si aspettava il boom?
"Nessuno l’aveva previsto. Ci credevo, pur sapendo che pochissimi nuovi prodotti ricevono così tanta attenzione, soprattutto quando non sono funzionali a uno scopo. Man mano che la sua celebrità cresceva, mi sono sentito un po’ Geppetto. Il falegname che osserva la sua creazione prendere vita, piena di malizia e voglia di avventura: come Pinocchio il mio Cubo è diventato autonomo. Ma il burattino dice bugie, lui no".
La sua stanza di progettista era quella di un bambino: biglie, monete, spago, colla, viti e così via. Rubik adesso è diventato adulto?
"Beh, ho più spazio a disposizione. Ho una moglie che mi incoraggia gentilmente a tenere in ordine le mie cose. Ma tengo ancora tutta quella roba a portata di mano: mi piace lavorare sui modelli usando strumenti fisici, anziché affidarmi solo a software e schermo digitale. Non butterei mai via un buon elastico o un bel filo di ferro: magari ne avrò bisogno la prossima volta".
Da piccolo aveva un giocattolo preferito?
"Ho sempre inseguito gli enigmi: passavo ore a ideare strategie per soluzioni nuove. Alcuni puzzle mi piacevano per la flessibilità e la capacità di cambiamento. Altri perché l’idea di fondo era espressa con semplicità. Altri ancora perché fornivano una cornice all’improvvisazione. Se il rompicapo era facile, lo ignoravo".
Preferiva giocare o progettare un gioco?
"Trasformavo qualsiasi oggetto in un giocattolo, come fa la maggior parte dei bambini. Legnetti, fili o scatole creano qualcosa di eccitante".
Lei oggi ha 76 anni, il Cubo 46: qual è il vostro rapporto?
"Il Cubo mi ha cambiato. Quando uno diventa padre, la sua vita muta in modo sostanziale: il figlio diventa il personaggio centrale. Tengo moltissimo a lui, è la mia creatura e sento profondamente la responsabilità. Ma sono contento che la sua storia non sia la mia".
Chi trova la soluzione per il Cubo è facilitato davanti ai propri problemi?
"Non credo che la correlazione sia così diretta, è più sottile. Risolvere il Cubo richiede attenzione ai particolari di un problema più ampio. Capisci che talvolta la via più breve non è una linea retta: devi imparare dalle battute d’arresto per arrivare dove vuoi".
Il robot è super veloce nel risolvere il Cubo: è più intelligente dell’uomo?
"No, è più efficiente: le macchine fanno le cose meglio di chi le ha progettate e costruite. In una frazione di secondo il robot risolve il rompicapo, però il vero significato del Cubo va ben oltre il suo cervello".
In quanto tempo lei risolve il Cubo?
"Più o meno un minuto, non male per un vecchietto".
E una volta che l’ha risolto?
"Resta magico anche se sai come si fa. È questo il vero segreto".
[Ha collaborato Francesca MarchI]