Milano, 2 ottobre 2024 – “Per fortuna mia madre sa ancora affrontare con ironia quello che le piove addosso. Del resto, ne ha passate così tante nella vita, che non si lascia certo abbattere da un cartello che la definisce agente sionista”.
Luciano Belli Paci, figlio di Liliana Segre, tra i promotori di Sinistra per Israele, fondatore del Circolo Carlo Rosselli e da anni in prima fila come avvocato per difendere l’immagine di una delle principali testimoni della Shoah, racconta così la reazione di sua madre all’ultimo attacco ricevuto durante il corteo pro Palestina a Milano. Sintomo e manifestazione – dice – della malattia che ha colpito le democrazie occidentali.
Luciano Belli Paci, dopo tanti anni di faticosa testimonianza, come vive Liliana Segre questo continuo essere presa di mira?
“Ormai ci ha fatto l’abitudine. Non a caso da cinque anni è sotto scorta, la persona più anziana in Europa a esserlo. Eppure le posizioni che ha espresso chiaramente in più occasioni non dovrebbero lasciare spazio a dubbi. Ha firmato l’appello lanciato il 6 marzo scorso, tra gli altri, da don Ciotti, Dacia Maraini e Giorgio Parisi per “fermare il massacro di palestinesi inermi e liberare gli ostaggi israeliani“. E ha parlato più volte dello strazio per i bambini di Gaza. Ma non è servito a niente. È un simbolo del mondo ebraico e come tale continua a essere nel mirino. Il cartello comparso a Milano di per sé potrebbe sembrare semplicemente delirante, ma nel clima che stiamo vivendo, è come puntare il dito, indicare un obiettivo”.
Liliana Segre cerca di usare l’ironia, di non farsi rubare il sorriso, forse però c’è poco da sorridere…
“In effetti, quello che sta accadendo, compreso l’ultimo episodio di Milano, è triste. Non tanto soggettivamente, quanto oggettivamente. Nonostante siano passati decenni e decenni, nel 2024 siamo ancora qui a discutere di questi temi. A fare i conti con queste pulsioni che, periodicamente, riemergono. Con questo sentimento latente che si manifesta a ogni occasione, come appunto sta accadendo con la situazione terribile del Medio Oriente. Anche questo dibattito sulle parole è significativo. L’insistenza continua sulla parola “genocidio“, termine che non è stato utilizzato in altri conflitti altrettanto, se non più, drammatici. È un modo di sbattere in faccia agli ebrei il loro passato. Come dire, quello che avete subito, ora volete farlo subire agli altri”.
Crede che queste pulsioni sotterranee contribuiscano all’avanzata in Europa dei partiti di estrema destra, come l’Fpo austriaca, che anche nel linguaggio si ispirano a un passato che, evidentemente, non passa?
“Certo fa molta impressione vedere il successo di queste formazioni in gran parte d’Europa, soprattutto in Stati come Germania e Austria. Per anni siamo stati convinti che la democrazia fosse in grado di “digerire“ queste derive, di assimilare gli estremismi, anche quelli più apertamente antidemocratici. Ora siamo costretti a ricrederci. A constatare che questo processo si è interrotto. E a fare i conti con la pessima salute della democrazia. Credo che sia dovuto innanzitutto al sentimento di isolamento e abbandono che vivono le persone. Che lascia spazio al rancore e all’odio. Le formazioni di estrema destra riescono a intercettare questo disagio”.
Eppure le posizioni antisemite spesso vengono espresse da formazioni di estrema sinistra, come se lo spiega?
“Non me lo spiego. Fortunatamente queste formazioni non credo siano così rilevanti nel panorama della sinistra, però esistono e spesso sono molto rumorose. Continua a sorprendermi come una persona di sinistra possa solidarizzare con organizzazioni come Hamas, Hezbollah o il regime iraniano, espressioni di posizioni misogine, omofobe, di negazione dei diritti delle persone. Per uno di sinistra dovrebbero essere il male assoluto, e invece spesso vengono sostenute e appoggiate, proprio in chiave anti-Israele. Che può essere criticato, e io stesso sono molto critico con il suo governo, ma è comunque una democrazia dove milioni di persone possono esprimersi liberamente, dove ogni settimana migliaia di cittadini manifestano contro Netanyahu”.
Come se ne esce?
“Purtroppo la democrazia non se la passa bene e non esiste una ricetta. L’unico rimedio immediato che mi viene in mente è lo stesso che si è usato in passato per fermare l’avanzata del terrorismo: isolare le formazioni e le posizioni più estremiste. E per fortuna questo sta avvenendo. Significa che la democrazia è malata, ma anche che ha gli anticorpi per provare a guarire”.