Era lì perché non aveva alternative. Era lì, in quella Babele di cemento armato e acciaio, ma voleva andarsene, essere altrove. Non ci è riuscito da vivo e, dopo tre giorni di scavi e ricerche, non ci sta riuscendo neanche da morto. È ancora formalmente dato per disperso, ma ufficialmente conteggiato nel bilancio delle vittime, il quarto degli operai marocchini (la quinta vittima è Luigi Coclite, 60 anni originario dell’Abruzzo) coinvolti nella tragedia di via Mariti. Da settantadue ore i vigili del fuoco con gli specialisti del nucleo Usar (Urban Search And Rescue) scavano senza sosta tra i detriti cercando una sua traccia, o peggio ancora, quel che resta del suo corpo dopo il tremendo impatto con la valanga grigia.
Hanno scavato di notte, senza mai fermarsi, facendosi strada nel buio e tra i massi giganti armati con tondini di ferro e calcestruzzo. Un lavoro estenuante, che richiede anche standard elevati di sicurezza, per evitare altri danni, ma soprattutto per garantire ai soccorritori di muoversi con più agilità. Adesso, più o meno, si sa dove si trova il corpo. Ma arrivarci è difficile: servono delle gru enormi, che ininterrottamente muovono, alzano e depositano quel che resta dei tralicci. Bracci d’acciaio che pescano dalla strada le putrelle disintegrate e liberano la zona dove è avvenuto il crollo.
Intanto, un vigile del fuoco esce tossendo. Ha il volto stanco, la sclera dell’occhio increspata di vene rosse, sulle mani i calli di chi non conosce la parola riposo ormai da tre giorni. Ha attaccato alle due di notte e alle tre del pomeriggio è ancora lì. Scuote la testa, spiega che fino a sabato i lavori hanno riguardato la messa in sicurezza dell’area, ieri invece sono partite le ricerche vere e proprie del corpo. Da rompere e oltrepassare, però, ci sono i tre piani della struttura e il cemento che durante il crollo veniva gettato dagli operai per formare la soletta del solaio, e che adesso si è seccato. La speranza, ogni ora che passa, si fa sempre più flebile perché il quinto operaio che manca ancora all’appello "si trova sotto due solai che sono collassati uno sull’altro. In tutta la giornata, siamo riusciti ad arrivare al primo solaio", ammette il giovane pompiere. E aggiunge: "Non sentiamo nessuna voce, quindi non abbiamo un punto preciso dove intervenire".
Su un fianco della recinzione che costeggia il cantiere è stata anche appeso uno striscione: "Fateci un parco. Ci abbiamo sempre voluto un parco!". Ricorda le battaglie dei residenti contro la costruzione di un nuovo supermercato nella grande area in cui sorgeva l’ex panificio militare. I fiori legati sui pali delle luce e posati agli angoli delle strade si sono moltiplicati: chi si ferma si fa il segno delle croce, guarda il cielo.
I parenti delle altre vittime intanto hanno lasciato Firenze, in attese di essere riconvocate per poter vedere i corpi dei propri cari. I morti sono Muhamed Toukabri, tunisino, 53 anni, Mohamed El Farhane, 24 anni, originario del Marocco con i connazionali Taoufik Haidar, 43 anni. Il disperso è invece Bouzekri Rahimi, 56 anni. Le loro famiglie si stanno già muovendo per portare le salme nei Paesi d’origine e come primo referente hanno scelto l’imam di Firenze, Izzedin Elzir, che da due giorni riceve chiamate dal Marocco a ogni ora del giorno di madri e mogli disperate e in cerca di aiuto.
Fuori dal cantiere arrivano anche due operai di una delle ditte che partecipava ai lavori. "Non riusciamo a capire come sia potuto accadere – spiegano in coro –, fino a pochi giorni fa ero là dentro, conoscevo alcune delle vittime, è davvero una tragedia". E ancora: "Non siamo abbastanza tutelati – continua uno dei due –, i giovani vengono buttati dentro senza una preparazione adeguata e queste, purtroppo, sono le tragiche conseguenze".
Pietro Mecarozzi