Lunedì 25 Novembre 2024
CLAUDIA MARIN
Cronaca

Indi Gregory, la ministra Roccella: “Lo Stato tutela la libertà. Non può dare la morte”

La ministra della Famiglia: hanno negato ai genitori la possibilità di scegliere. “Il nostro governo, con la premier Meloni in prima fila, ha tentato tutto il possibile per offrire una soluzione che consentisse di evitare questo epilogo”

Roma, 13 novembre 2023 – “La tragica storia della piccola Indi mi ha turbato molto, come del resto ha turbato e sconvolto l’opinione pubblica – esordisce da madre, prima ancora che da Ministra della Famiglia e della natalità, Eugenia Roccella, da anni impegnata sul delicato fronte del diritto alla vita –. Il nostro governo, con la premier Meloni in prima fila, ha tentato tutto il possibile per offrire una soluzione che consentisse di evitare questo epilogo. In questo momento il pensiero non può non andare alla mamma e al papà di Indi, ai quali siamo tutti vicini”.

La ministra Eugenia Roccella
La ministra Eugenia Roccella

Il governo italiano si è mosso con la concessione della cittadinanza per evitare questo esito. Perché? Con quali motivazioni?

"È già avvenuto in altri casi precedenti, e anche stavolta l’Italia ha cercato di dare un’opportunità ulteriore alla piccola. I genitori di Indi avevano esplorato la possibilità di percorsi terapeutici diversi e il Bambin Gesù era disponibile a una proposta in questo senso. Di fronte alla richiesta della famiglia di una seconda opzione di cura, il governo si è attivato affinché questa scelta potesse concretizzarsi e ha creato i presupposti affinché il tribunale inglese potesse tornare indietro dalle proprie decisioni. Si trattava di garantire alla famiglia di Indi la libertà di cura, che invece purtroppo è stata negata”.

I genitori con la piccola Indi
I genitori con la piccola Indi

Perché, alla fine, non è stato possibile trasferirla al Bambin Gesù?

"Così ha deciso il tribunale. E poiché vige la separazione dei poteri, né il governo inglese né tantomeno quello italiano ha potuto fare più niente. Noi abbiamo offerto ai giudici validi elementi per poter decidere diversamente, anche perché con la concessione della cittadinanza italiana il console è diventato il rappresentante legale della bambina e su questa base è stato chiesto di applicare la convenzione dell’Aia. Ma evidentemente non è bastato".

Si obietta che era incurabile e che si sarebbe trattato di accanimento terapeutico. Quale è il confine che distingue i due momenti?

"Si fa spesso confusione tra il concetto di guarigione e quello di cura. Ci sono tante malattie dalle quali non si può guarire, basti pensare alle malattie croniche, e comunque a tutte le diagnosi con esito infausto. Ma questo non significa che la persona non possa essere curata. Se la immagina una sanità dove ci si prende cura solo di chi ha una prognosi positiva? L’accanimento non c’entra, presuppone un giudizio di appropriatezza clinica rispetto a un trattamento. E certamente non ci si può non fidare del giudizio, dell’esperienza e delle competenze del Bambin Gesù. Una struttura di questo livello non fa venire una bambina in Italia per accanirsi su di lei, ma perché ritiene possibile un percorso terapeutico diverso, che non significa promettere di guarirla, ma di curarla".

Come curare una malattia incurabile?

"Si cura la persona, non solo la malattia. La persona che sta male va sempre curata, accudita, accompagnata. La medicina serve a creare le migliori condizioni possibili, e il sollievo dalla sofferenza, anche in situazioni senza speranza di guarigione. In caso contrario, quando si sa che ci sarà un esito negativo bisognerebbe abbandonare il paziente al proprio destino, rinunciando a migliorare la sua vita e accelerandone la morte. Ovviamente questo non è pensabile, se non vogliamo smarrire un senso minimo di solidarietà fra le persone e all’interno di una comunità".

Hanno deciso i giudici e non la famiglia: chi può e deve decidere in casi come questo?

"In questo caso è stata negata proprio la libertà di cura, perché i genitori di Indi chiedevano semplicemente di poter scegliere una seconda offerta terapeutica, da parte di una struttura di indiscutibile autorevolezza. Dovrebbe far riflettere che ciò sia accaduto proprio in un Paese che ha una grande tradizione liberale. Sono le contraddizioni incredibili e laceranti cui ci troviamo di fronte nel nostro tempo, nel quale si invoca continuamente l’autodeterminazione ma poi a decidere sulla vita di un malato può essere un tribunale, o lo Stato. È un paradosso che ci dice molto della società in cui viviamo".

La libertà di cura come si può regolare in casi estremi?

"A me questo non è sembrato un caso estremo, al di là della gravità della malattia dalla quale era affetta la piccola Indi. Anzi, dal punto di vista della libertà di cura si trattava di un caso classico: c’era la valutazione diversa da parte di due equipe mediche entrambe scientificamente attendibili. E c’erano dei genitori che chiedevano semplicemente di poter scegliere l’offerta a loro giudizio migliore per la propria bambina. Non credo ci potessero essere dubbi su come regolarsi, e invece…”.

Chi deve decidere sulle cure?

"In nome dello stesso principio di cui sopra, è chiaro che la persona – o chi per lei, nel caso ad esempio di un bambino chi ne ha la responsabilità legale – ha sempre la libertà di decidere sulle cure alle quali sottoporsi. Ma non può essere lo Stato a dare la morte. In un quadro di libertà, bisogna ricordare sempre che la vita e la morte non sono opzioni equivalenti. Men che meno possono esserlo per lo Stato".

Il caso di Indi non è il primo: che cosa è successo negli altri?

"Ci sono stati diversi casi di questo tipo che hanno riguardato bambini. Ricordo ad esempio Charlie Gard, Alfie Evans, Isaiah Haastrup. C’è stato anche un caso nel quale la battaglia è stata vinta dai genitori: la piccola Tafida Raqeeb è la sola, finora, che ha potuto essere trasferita al Gaslini di Genova. Era la fine del 2019, e oggi la piccola è ancora viva”.