Roma, 2 marzo 2025 – L’albero di Elena è stretto al guardrail della morte, perché qui sull’Ostiense la moto Honda Hornet 600 blu ha sbandato, colpa di una buca aperta da una radice. E la barriera d’acciaio non ha lasciato scampo. Era una mattina di maggio, era il 2018.
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Elena Aubry aveva 26 anni ed era bellissima, i capelli lunghi e gli stessi occhi verdi della madre Graziella Viviano che ora dice, “era mia figlia ma anche la mia migliore amica, con lei ho perso il mio futuro”. Poi dovete prendere questo dolore e moltiplicarlo per due. Perché nel 2020 la mamma di Elena ha vissuto il dramma delle ceneri sparite dal cimitero del Verano. Sì, anche la figlia era finita nella collezione macabra di un cinquantenne che a casa aveva centinaia di foto cimiteriali, tutte donne belle e giovani. Le ceneri sono state ritrovate, restano lo sconcerto e tante domande.
Ora Graziella sta passando delicatamente un panno per pulire il manifesto con il volto di Elena, il ritratto legato al pino ha un velo di smog, sopra hanno attaccato un modellino di moto, “l’ha dipinto un motociclista, blu com’era la sua”. Una maglietta grida, “la strada non deve uccidere”, sfreccia un tir e pare che ti debba portare via.
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“Sotto gli occhi di Elena” si chiama l’associazione che ha fondato Graziella Viviano e che si batte per la sicurezza stradale. Dentro c’è lo schianto di una madre ma anche la competenza di un architetto che ricorda: “Le strade sono urbanizzazione primaria, eppure non se lo ricorda mai nessuno”. Abbiamo trascorso un pomeriggio insieme a Roma. Graziella guida e segnala pericoli e assurdità, confida ricordi e battaglie, le lacrime scendono all’improvviso ma lei non perde di vista il senso di tutto, “cercare di far morire meno persone possibile, cercare di far soffrire meno famiglie possibile”.
Muoversi in auto dalla periferia di Roma a Ostia e ritorno, sulla via Portuense e in zona Monte Verde, vuol dire sobbalzare costantemente per i dossi da radici e per i rattoppi, incrociare pattuglie di vigili con autovelox – che in tutta Italia continuano a produrre multe nulle, perché non sono omologati -, trovare tre semafori in 50 metri e una ciclabile accanto a una lunga fila di auto parcheggiate fino al semaforo, in via Bernardino Ramazzini. Passare a distanza ravvicinata e pericolosa accanto a spigoli di marciapiede e cordoli ‘accecati’, perché i catarifrangenti sono saltati per i colpi di chi ci finisce contro. “Di notte non lo vedi, in auto sfondi una ruota, in moto sei morto”. Ancora: restringimenti di carreggiata, pali, piloni e paletti, fermate del bus al centro che si mangiano all’improvviso pezzi di strada, mentre l’autobus arriva pericolosamente alle tue spalle e s’infila nel traffico. Tutto attorno, una giungla di segnali stradali, limiti di velocità che cambiano di continuo. Roma, Italia.
Ma il cuore di questo viaggio nell’insicurezza stradale è sull’Ostiense, e dire che oggi “è stata rifatta, basta guardare l’asfalto”, è la didascalia di Graziella. Non come quando Elena è morta, uccisa da negligenze e omissioni, queste sono state le accuse della Procura al processo. Perché in questa strada mancava proprio tutto, anche la manutenzione ordinaria.
L’Ostiense corre tra due filari di pini appena dietro un guardrail martoriato, una strada che anche oggi continua a fare paura, e ti chiedi come mai in così poco spazio ci sia un doppio senso di marcia. E se lo domanda anche Graziella.
“Se prendi la patente a Ostia, puoi guidare anche al Cairo”, va dritto al punto un giovane barista del lido di Roma. Percorrere a piedi un tratto di Ostiense per raggiungere l’albero di Elena non lascia tranquilli. Un sollievo scavalcare il guardrail e mettersi al riparo, nel fazzoletto verde accanto all’albero. Proprio la barriera ha ucciso questa ragazza che amava l’arte e si entusiasmava per tutto. Fa impressione passare le dita sul bordo d’acciaio, “in questo punto è come una lama”, sta dicendo Graziella, che sulla sicurezza dei guardrail ha incontrato il ministro Matteo Salvini. “Mi ha ascoltato e ha preso appunti, non è poco – è riconoscente -. Ha trovato i primi fondi. La mia battaglia è appena all’inizio. Ora bisogna fare una mappa dei punti più pericolosi d’Italia”.
E la giustizia? “Sono state messe sul banco degli imputati otto persone. Il responsabile di una ditta appaltatrice per la manutenzione stradale ha chiesto il rito abbreviato, è stato condannato in tutti i gradi di giudizio, inclusa la Cassazione. Aveva presentato ricorso perché un anno e mezzo di pena, che chiaramente non sconterà mai, gli sembrava troppo. A me non interessa mandare in galera le persone. Ma bisognerebbe cambiare la legge sull’omicidio stradale. Chi è considerato colpevole, deve capire. Servirebbero centri di accoglienza per disintossicare queste persone, che nel pubblico devono occuparsi della vita dei cittadini”.
Entriamo nel giardino di casa, la tappa finale di questa giornata. Qui c’è ‘l’altro albero’ di Elena, “una pianta di arancio. Una signora del condominio mi ha insegnato che nel suo paese quando muore qualcuno si pianta un albero. Perché significa continuare la vita. L’arancio ha un profumo meraviglioso, dà frutti, non ti abbandona, quando cresce ti ripara, è sempre verde, anche nelle stagioni più buie. E sta facendo quello che Elena non potrà fare. Crescere, avere un futuro”. Tutto attorno sembra primavera. Ma viene da piangere.