
Filippo Dario Vinci, avvocato esperto in diritto minorile
Bologna, 23 marzo 2025 - Non sono i numeri della violenza under 18 ad allarmare ma “la teologia della forza”, spiega Filippo Dario Vinci, avvocato esperto in diritto minorile.
Avvocato, che cosa s’intende con questa definizione?
“Prima una premessa: il tasso di devianza minorile in Italia è molto inferiore rispetto alla media europea, penso ad esempio alla Francia”.
Eppure?
“Negli ultimi quindici anni, statistiche della Criminalpol alla mano, benché rimanga sostanzialmente stabile il numero di denunce, cambiano le caratteristiche e le qualifiche penali dei reati. Che sono più violenti, più efferati, commessi più spesso in gruppo. Accomunati da quello che qualcuno chiama appunto teologia della forza”.
Nel frattempo, i numeri che cosa ci dicono?
“Dal 2010 al 2023, l’ultima serie storica analizzata dalla Criminalpol, oscilliamo tra 28mila e 30-31mila denunce a carico di minorenni. Ma il tema, come dicevo, non è il numero, non è quanti sono. Il problema non è rappresentato nemmeno dagli autori dei reati, italiani o stranieri, prima o seconda generazione. Perché sono tutti ragazzi. Il tema è: questi 30mila, nel 2010 e oggi, commettono lo stesso tipo di reato? La risposta è no. Perché aumentano violenza e prevaricazione”.
Quali sono le cause?
“Una fragilità di fondo, carenze relazionali e affettive, patologie sanitarie e dipendenze. Per questo serve una risposta che vada in molte direzioni. Non è che la repressione non sia utile. Il nostro è un sistema fondato sulla sanzione. Ma dobbiamo chiederci: basta il decreto Caivano? I numeri ci dicono di no. Perché se la causa è un’antisocialità che ha una natura complessa, non possiamo accontentarci del diritto per contrastare e magari sperare di risolvere o diminuire il fenomeno”.
I reati della prevaricazione si commettono in branco?
“I numeri più recenti ci dicono che stanno aumentando i reati di gruppo. Questo potrebbe ratificare la teoria dell’uso della forza come elemento aggregante da un lato e dall’altro come un modo di rispondere al disagio con la violenza. Le vittime, quando minorenni, spesso sono donne”.
Cosa accomuna minorenni di buona famiglia e maranza?
“Le fragilità. Tutti questi ragazzi hanno gli stessi vuoti, la stessa frustrazione, quasi la stessa inconsapevolezza del disvalore dei loro gesti. Ed è questo che più preoccupa. Il fatto che siano ragazzi senza coordinate. Sicuramente la risposta repressiva non riesce a colmare questi vuoti, non del tutto almeno. Intanto, il decreto Caivano ha portato a una popolazione carceraria che al 70% è fatta da persone in attesa di giudizio. Entrano quasi tutte nel regime detentivo sulla base di misure cautelari, anche per reati legati agli stupefacenti”.
Nella sua esperienza, come avviene il recupero dei ragazzi che si mettono nei guai?
“I minori denunciati non per forza entrano negli istituti di detenzione o di riabilitazione. Possono rimanere a piede libero o può essere applicata una misura cautelare. Ma nessun minorenne denunciato o arrestato va direttamente in questi istituti. Si può decidere per il contesto familiare o comunitario”.
Gli strumenti sono efficaci?
“Sì, se hanno le risorse per essere tali. Pensiamo a un dato. Quasi sempre la devianza minorile è connotata da carenze sociali e educative, da disturbi sanitari e anche da problemi con l’affettività. Quindi uno strumento volto al recupero dei minorenni deve unire all’elemento securitario anche il recupero sociale, relazionale, educativo e scolastico”.
A che punto siamo in Italia rispetto al quadro ideale che ha tracciato?
“Paradossalmente siamo partiti con una riforma del diritto processuale minorile dell’88 che è stata tra i sistemi più evoluti a quel tempo, a livello mondiale. Negli ultimi anni, invece, in particolare dopo la riforma Caivano, per una serie di motivi, si è molto insistito sulla repressione piuttosto che sul tema educativo e del recupero. Per questo si è arrivati al sovraffollamento degli istituti di detenzione minorile che ha portato a un aumento dei tassi da 400 a 600 su base nazionale di frequenza giornaliera e a un trasferimento di maggiorenni che dal 2014 potevano rimanere negli Ipm fino ai 25 anni, spostati negli istituti per maggiorenni, sono stati circa 120 nell’ultimo anno, tre anni fa erano stati 25”.
Servono più investimenti?
“Servono risorse per le tre fasi: prevenzione, trattamento e per quel che viene dopo. In questi tre momenti, che fanno parte dello stesso intervento, devono esserci risposte sicuritarie, anche di tipo preventivo o amministrativo, penso all’ammonimento del questore. Ma servono anche altre soluzioni. Bisogna evitare la recidiva. Questa soprattutto ci spiega che lo strumento è insufficiente. Non dico che è sbagliato ma è insufficiente”.