Napoli, 2 marzo 2025 – Perché le strade sono lastricate di buche, e magari il cantiere è stato appena chiuso? Ingegnere Gianluca Dell’Acqua, presidente Siiv (Società Italiana Infrastrutture Viarie): lei ha una grandissima responsabilità, deve svelare questo grande mistero agli italiani.

“Intanto nel nostro Paese il materiale che viene usato per la pavimentazione - che è una somma di strati diversi, uno sopra l’altro -, non viene progettato. Si fa una stesa superficiale, poi dopo una settimana esce la buca un’altra volta. I materiali non sono controllati in laboratorio, prima. Non vengono fatte le prove. Il 90% dei cantieri non ha un progetto di pavimentazione. Si va avanti con il copia-incolla. Si è fatto così fino ad oggi e si continua così, questa è la regola”.
Fino all’insorgere delle buche?
“Le buche si formano perché le pavimentazioni sono sovrastrutture, quindi hanno uno spessore fatto di materiali diversi. Il danno è profondo, io copro la superficie e dopo poco la fessura che stava sotto risale”.
Mettendo in fila le cause?
“In generale, può essere un problema di progettazione o di materiali impiegati, ma anche di esecuzione, di posa in opera delle pavimentazioni. Uno degli aspetti fondamentali è il costipamento, quindi la compressione. Se questo passaggio non viene fatto bene, è molto più probabile che il risultato non sia quello atteso”.
Con il decreto Cam strade in vigore da dicembre è cambiato qualcosa?
“Quello dovrebbe garantire una svolta epocale, se fosse applicato così come è stato scritto. Perché mentre per il calcestruzzo usato per gli edifici c’è una normativa tecnica, in Italia per i conglomerati bituminosi, cioè per i materiali con cui si realizzano quasi tutte le strade, le regole non esistono. E questa è un’anomalia. In Francia, in Germania, in America sono previste. In Italia si parla di cemento armato ma non di conglomerati bituminosi, si tratta di una scelta politica. Il Cam invece comincia a mettere dei paletti seri, almeno dal punto di vista del rispetto dell’ambiente”.

In cosa dovrebbe concretizzarsi la svolta?
“Nel prevedere il riuso dei materiali che hanno già concluso una vita utile. Quindi, se devo realizzare una pavimentazione stradale, demolisco quella esistente e la riutilizzo in parte per i nuovi progetti. Se il Cam strade riuscirà a dare una spinta all’uso del materiale da riciclo, questo porterà benefici scontati. Non devo demolire montagne e colline perché posso reimpiegare una parte di materiale già lavorato come pavimentazione stradale. Negli altri paesi questa è una prassi consolidata, in Italia invece ci sono molti freni”.
Il decreto prevede anche una vita di 20 anni, per le strade.
“Ma quello è in partenza uno dei concetti chiave di ogni progetto. Lo stabilisco in base ai materiali impiegati, agli spessori degli strati, anche in base al traffico che dovrà passare su quella strada. Invece non si ha rispetto dell’opera da progettare”.
Eppure siamo gli eredi dei romani, le strade le abbiamo inventate noi…
“Ma oggi viviamo un paradosso. Nella stragrande maggioranza dei casi, le pavimentazioni stradali non vengono realizzate come tutte le altre opere di ingegneria civile. Quindi non si hanno competenze su progettazione, controlli, esecuzione e costruzione. Si lavora a mano libera, diciamo così. Gli ingegneri e gli architetti ritengono che la strada non sia un’opera di ingegneria civile. Il numero di vittime, feriti e invalidi, insomma questa guerra, è uno degli aspetti della mancata considerazione che le strade hanno nel nostro Paese. La maggior parte degli addetti ai lavori ritiene che basti semplicemente buttare a terra del conglomerato bituminoso, che quasi tutti chiamano asfalto. Questo riguarda tutti gli aspetti, e riguarda anche la sicurezza. Molti ingegneri, che in Italia di solito sono quelli che costruiscono i palazzi, non sanno neanche che esistono norme geometriche e funzionali per progettare le strade”.
Addirittura.
“Proprio così. Faccio un esempio semplice, le rotatorie. Una ventina di anni fa sono arrivati finanziamenti per realizzare interventi sulla sicurezza e le rotatorie sono fiorite ovunque. Sono un’ottima soluzione ma non vanno bene dappertutto. Danno la precedenza sull’anello giratorio, vuol dire che tutti i rami stradali che entrano nel nodo sono considerati equivalenti, dal punto di vista della gerarchia. Ma le rotatorie sono state messe anche su intersezioni in cui i bracci sono molto squilibrati, dal punto di vista del traffico. Che cosa significa questo? Che strade molto trafficate sono considerate alla stessa stregua di quelle con traffico scarso. Quindi si generano semplicemente code. Soluzioni ormai note da decenni all’accademia non vengono realizzate, anche perché le strade curiosamente non vengono considerate opera di ingegneria, ad esempio gli architetti ritengono che le rotatorie siano disegni ornati, dunque un’opera d’arte”.
Tra le strade più pericolose ci sono le statali, lo confermano le statistiche di mezzo mondo.
“Le statali nel tempo sono state oggetto di concessioni per accessi privati. Spesso si danno aperture di innesti che creano pericolo. Perché sono strade extraurbane, nascono per essere percorse a determinate velocità e le intersezioni non dovrebbero essere proprio consentite”.
Spesso la gestione è mista, con enti diversi.
“E questa è ancora cattiva amministrazione”.
I limiti di velocità cambiano nel giro di pochi chilometri.
“Nella stragrande maggioranza dei casi quello strumento viene usato dalle amministrazioni per evitare problemi. Quelli molto bassi localizzati, ad esempio i 20 o i 30 all’ora, sono stati decisi perché se poi capita l’incidente, io tecnico del Comune mi posso difendere dicendo, ma ho messo il limite, lui correva e ha perso il controllo. Una strada ben progettata dal punto di vista geometrico, dovrebbe comunicare all’utente la velocità da tenere. Un tracciato molto scorrevole induce ciascuno di noi a correre. Invece un percorso tortuoso, con curve a raggio costante e progressivo, ci porta a rallentare”.