Roma, 9 marzo 2025 – Anche gli alberi possono diventare un pericolo, lungo le strade. Giuseppe Scarascia, professore di Scienze forestali all’Università della Tuscia e responsabile dell’Istituto forestale europeo sul verde urbano: partiamo dal fondo, dalle radici che scassano l’asfalto. Come vengono scelte le piante lungo le strade?
“Molto spesso ce le troviamo. Ad esempio, a Roma i pini sull’Ostiense risalgono agli anni Cinquanta. Il problema è che hanno radici superficiali, mentre quelle delle querce o dei bagolari, ad esempio, sono più profonde. I pini poi sono soggetti a una serie di danni per attacchi parassitari, a Roma li stanno in gran parte eliminando per questo. Molto spesso si schiantano perché noi non sappiamo che cosa succede sotto terra alle radici. Molto spesso le hanno tagliate per i lavori stradali o i sotto servizi”.

Da qui lo schianto improvviso? “Sì, e questo è estremamente pericoloso. C’è il rischio che dopo qualche anno le piante possano crollare per mancanza di stabilità. Ed è un problema molto serio, riguarda un po’ tutti gli alberi e richiede un monitoraggio continuo con strumenti moderni, con sistemi informatici, geografico-informativi che ormai oggi sono disponibili. Ma è indispensabile anche un aggiornamento delle tecniche di gestione del verde, a livello cittadino”. Che cosa serve? “Gli strumenti ci sono, vanno applicati prima di tutto a livello urbano. E serve un catasto, un censimento aggiornato, naturalmente elettronico. Soprattutto, interrogabile ogni volta che c’è bisogno”. Correttivi possibili, sulle strade? “Tra la sede stradale e le aiuole dove si piantano gli alberi, si possono prevedere piccoli fossi che porterebbero le radici più in basso. Se c’è uno spazio adeguato, bisogna interrompere la marcia orizzontale delle radici. Quindi ci sono dei metodi da applicare per mitigare questi impatti”. In sintesi, perché gli alberi rompono l’asfalto? “Le piante cercano l’acqua. Se è in superficie, è inutile che vadano in basso, perché sotto non c’è l’ossigeno. Così le radici restano superficiali”. Come si può evitare questo danno che provoca anche insicurezza? “Primo punto, con la scelta delle specie. Pino domestico, pioppi, frassini, betulle, aceri: questi tendenzialmente hanno radici superficiali. Si dovrebbero piantare dunque a una certa distanza dalla sede stradale. E si dovrebbe fare in modo che ci siano aiuole, piccoli avvallamenti, una serie di sistemi per ridurre l’estensione delle radici superficiali verso le strade. Poi conta anche il modo con cui vengono coltivate. Se c’è abbondanza di acqua, le piante rimangono con radici superficiali, quindi il livello di irrigazione va regolato. Terza cosa, per evitare la perdita di stabilità, si deve tenere un censimento adeguati dei lavori sulle strade e di tutti gli interventi che vengono fatti”. Altro problema, lo schianto nei parchi urbani e nei boschi. “Qui conta una combinazione di fattori che richiedono una gestione attenta, non soltanto del verde in città ma anche delle foreste. Non dobbiamo abbandonarle. Le piante sono organismi viventi, e dopo una certa età deperiscono e possono crollare. In particolare: con i cambiamenti climatici, si sta assistendo a piogge eccessive, venti eccessivi, ondate di caldo eccessive. Tutto questo chiaramente indebolisce il sistema foreste, in generale. Se ci sono eventi estremi, ad esempio venti molto forti, che sono andati aumentando, e contemporaneamente situazioni in cui il terreno d’inverno non è più freddo come una volta e trattiene le radici ma è molto umido e pieno d’acqua, chiaramente il sistema diventa più fragile”. Quanto conta l’attacco degli insetti? “Anche l’infestazione è sicuramente un elemento di fragilità. A Roma, ad esempio, molti pini sono morti, attaccati in particolare da una cocciniglia arrivata dall’America. Ultimo punto: spesso sulle Alpi il grosso dei boschi sono di abete rosso. Un’altra di quelle specie, come il pino domestico, che ha radici molto superficiali. Piantati ormai 100-150 anni fa. In poche parole: abbiamo a che fare con situazioni climatiche estreme, con il rischio di arrivo di insetti da altri continenti, con un ecosistema più fragile che ha bisogno di una gestione attenta”. Eppure restano grandi discussioni su questo tema e mondi in apparenza inconciliabili. “Bisogna tentare di cercare una sintesi e anche una conciliazione, basata sul buon senso e sulla conoscenza scientifica. Gli alberi sono esseri viventi, a una certa età bisogna stare attenti alla stabilità. La sicurezza pubblica è assolutamente prioritaria. Se anche si dovesse arrivare ad abbattere le piante pericolose, che hanno ad esempio radici superficiali, bisogna pensare a sostituirle con specie più idonee, ad esempio le querce che hanno sicuramente un apparato più profondo, oppure con bagolari o noci. Ma è questione di gestione, se ne possono mettere anche altre, purché si curino in modo corretto. Però, ripeto, occorrono gestione e pianificazione degli interventi. E anche persone competenti. Anche perché questa può diventare un’opportunità di lavoro per tanti giovani”.