Il centro sud va a fuoco. Chi ci guadagna? Perché s’indaga anche per roghi dolosi. In qualche caso sono già stati trovati gli inneschi. Vero, dobbiamo fare i conti con il cambiamento climatico. Con temperature roventi e vento torrido. Le stagioni classiche degli incendi ormai si sono allungate, vanno da maggio a ottobre. Però basta sfogliare le ultime statistiche per avere conferma di una grande verità: boschi e terreni non s’incendiano da soli. Le cause naturali non arrivano al 2% e "sono esclusivamente fulmini", chiarisce Filippo Micillo, fiorentino, a capo dell’ufficio pianificazione e coordinamento del servizio antincendio boschivo per i vigili del fuoco. Cita le statistiche 2019 dei carabinieri forestali. Quasi sei volte su dieci i roghi sono stati intenzionali, anche se la percentuale potrebbe salire ancora, perché poi bisogna fare i conti con un 22,5% di azioni non classificabili. Meno del 14% i blitz colposi, per disattenzione o incuria; un altro 4,4% è attribuito a cause indeterminate.
Ma a chi giova? Chi sono i registi di questi roghi che hanno colpito al cuore un patrimonio ambientale e storico, dall’oleastro millenario della Sardegna alla pineta dannunziana di Pescara, passando per una strage di aziende e animali. Claudio Fava, presidente della commissione regionale antimafia in Sicilia, ha deciso di andare a fondo. Spiega: "Diverse procure ci stanno lavorando. Noi cominceremo a fare un’inchiesta con i nostri mezzi. Per verificare la corrispondenza di eventuali richieste di licenze per impianti fotovoltaici con terreni che hanno subìto roghi e quindi sono inutilizzabili dal punto di vista agricolo".
Fava è convinto che quella sia una delle piste giuste, più dell’eolico. La considera "la voce più importante di questo business. Perché in questo momento in Sicilia per quel settore non esiste alcuna regolamentazione, valgono solo alcune norme di massima. I terreni agricoli bruciati non sono esclusi, possono essere riutilizzati per altre destinazioni, fotovoltaico compreso. La legge non lo vieta. In attesa di una regolamentazione, resta un vulnus che nelle prossime settimane potrebbe essere riempito così".
Insomma c’è sempre il modo di bypassare la legge 353 del 2000, come spiega bene Stefano Masini, responsabile ambiente di Coldiretti. "La norma esclude tutta una serie di attività - va al nodo –. Prevede divieti e sanzioni nelle aree percorse dal fuoco, che non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per almeno quindici anni, per dieci vale il divieto di costruire. Purtroppo le relazioni semestrali dell’antimafia in questi anni hanno documentato gli interessi di chi controlla il territorio e facilita gli investimenti nelle energie rinnovabili. La legge non dice che è vietato. Non si può prevedere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio ma sono consentite opere pubbliche necessarie alla salvaguardia dell’ambiente".
Micillo aggiunge un filone, parallelo a quello dei piromani, "persone malate". Gli incendiari, invece, compiono spesso "azioni di vendetta, da sempre il fuoco è uno strumento per questo. Poi ci possono essere interessi particolari. Basta vedere i divieti messi sulle aree boscate percorse dai roghi, questo alla fine riconduce alle cause. Sono divieti di caccia, di pascolo, di cambiamento di destinazione d’uso del terreno...". Detto dopo 27 anni di esperienza in materia. Anche per questo quando ha cominciato a vedere la raffica di roghi a maggio ha colto l’avvisaglia e ha capito che l’annata sarebbe stata "molto impegnativa".
Ma ce n’è anche per le Regioni. "Un altro tema di lavoro a mio avviso sono le attività di previsione e prevenzione – mette sul tavolo Masini –. Dovremmo avere piani regionali che sviluppano linee guida molto precise e complete. Mappe che individuano ad esempio le aree percorse dal fuoco negli anni precedenti. Il territorio dev’essere oggetto di presidio, manutenzione e conoscenza. Serve un’azione istituzionale più incisiva per affrontare il problema alla radice".