Sabato 17 Agosto 2024
MARISTELLA CARBONIN
Cronaca

Prato, l’imprenditore che assume detenuti: “Così tornano a vivere”

L’ad della Piacenti: “L’integrazione è possibile. Se ciascuna azienda facesse un passo in questa direzione, si potrebbe fare qualcosa di veramente grande e socialmente utile”

Un lavoratore della Piacenti S.p.a

Un lavoratore della Piacenti S.p.a

Prato, 17 agosto 2024 – Sarà perché è abituato a dare una seconda vita alle cose. A rimettere insieme i pezzi. A salvare tutto quello che si può salvare, in fondo, creando ponti tra ieri e oggi che assomigliano un po’ a miracoli. Ma non occorre credere nei miracoli per dare una seconda chance alle persone, a quelle che fino a ieri avevano come unico orizzonte il carcere. Occorre credere nelle persone. Gianmarco Piacenti, Ceo della pratese Piacenti spa, una delle più importanti società di restauro a livello nazionale e internazionale, ha deciso di provarci. Il seme è stato gettato da Ance (istituzione del settore edile afferente a Confindustria), insieme all’associazione Seconda chance.

Gianmarco Piacenti, ceo della Piacenti spa
Gianmarco Piacenti, ceo della Piacenti spa

Piacenti, avete fatto una prima assunzione in blocco di 6 detenuti (anche pratesi) a dicembre, e adesso avete in mente di assumerne altri.

“Esatto, abbiamo già preso accordo con il carcere di Rebibbia per altri tre contratti di lavoro nel settore del Restauro artistico da poter impiegare nei cantieri per 32 interventi appena vinti nell’ambito delle opere del Giubileo. Presto il numero dei detenuti assunti salirà a 12”.

Come è la convivenza con gli altri lavoratori?

“All’inizio vince la diffidenza. Ma in breve tempo i nuovi arrivati sono riusciti a meritarsi l’integrazione. Oggi, nei gruppi di lavoro, sono tutti molto uniti”.

Cosa la spinge a fare questa scelta?

“L’etica non ‘letica’ (non litiga) con il profitto, questo è il mio motto”.

Il suo settore è particolare: restauro monumentale artistico e archeologico. Ha trovato persone giuste per le mansioni da lei ricercate?

“In ogni cantiere c’è spazio per figure che possono dare il loro supporto. Per esempio, a Rebibbia ho trovato persone con variegate esperienze che posso impiegare nei miei cantieri: un detenuto è iscritto alla facoltà di Scienze dei beni culturali, un altro ha altissime capacità di disegno perché è un tatuatore artistico, un altro ancora sa lavorare i metalli”.

Che cosa l’ha colpita di più riguardo le assunzioni che ha fatto. Racconti qualche caso.

“Ogni persona è portatrice di una storia. Due in particolare mi hanno colpito: uno degli assunti a Prato, avendo la possibilità di uno stipendio grazie a questo lavoro, è venuto a dirmi che voleva farsi una famiglia. Io non ho dato molto peso a quelle parole, pensavo che fosse impossibile. E invece ci è riuscito e io ne sono felicissimo: pochi mesi fa si è sposato. A molti di loro, poi, il lavoro ha dato la possibilità di recuperare la dignità che avevano perso: il lavoro è un mezzo che serve per rientrare a testa alta nella società civile”.

E’ anche un mezzo anche per evitare di ricadere nelle vecchie ’abitudini’?

“La recidiva , cioè la possibilità di tornare a delinquere, è molta alta fra coloro che escono dal carcere senza fare niente. Chi trova un’occupazione invece rientra in quella percentuale di recidiva quasi pari a zero”.

Ci sono grosse difficoltà nella gestione dei detenuti assunti?

“Le difficoltà ci sono perché il sistema è complesso, ma non bisogna scoraggiarsi: ci sono passaggi precisi da compiere. Il tribunale di sorveglianza e la magistratura debbono essere sicuri di concedere la possibilità di uscita dal carcere per un lavoro. Ci vogliono garanzie per le aziende che li accolgono e anche per i detenuti, la maggior parte dei quali deve rientrare in carcere a fine turno di lavoro”.

Questa è un’estate rovente per le carceri. Abbiamo assistito a rivolte e a una lunghissima scia di suicidi (a Prato 4 in meno di un anno) per le pessime condizioni in cui i detenuti sono costretti a vivere.

“E’ così. Allora penso che anche una sola goccia nel mare possa essere utile. Queste 12 persone su una popolazione carceraria di 70mila unità sono una goccia nel mare. A Prato ci sono 27mila aziende: se ciascuna facesse un passo in questa direzione, si potrebbe fare qualcosa di veramente grande e socialmente utile”.