SANREMO (Imperia)
Dall’asta del microfono a quella giudiziaria. Con una clamorosa decisione il Tar della Liguria ha sancito che il Comune di Sanremo non può effettuare un affidamento diretto alla Rai del Festival ma deve predisporre un bando di gara. Clamoroso: dunque a febbraio non vedremo Carlo Conti e la banda dei suoi 34 artisti? Calma, calma.
I giudici non vogliono sconvolgere gli spettatori italiani privandoli dello spettacolo più visto dell’anno, a rischio di un’insurrezione popolare. Con provvedimento meditato hanno infatti stabilito che "risulterebbe evidentemente sproporzionato e irragionevole incidere sull’edizione del Festival già svolta e sull’edizione che si svolgerà tra pochi mesi". Dunque niente panico: dal 6 al 10 febbraio ci godremo il concorso canoro. Dal 2026, be’, vedremo. Anche se è difficile ipotizzare che qualcuno abbia la voglia o i mezzi per imbarcarsi in un’impresa del genere.
Qual è il giro d’affari che ruota intorno al Festival? Di che cifre stiamo parlando? Nel novembre dell’anno scorso il sindaco (uscente) Alberto Biancheri firmò con la Rai il rinnovo della convenzione per il Festival ottenendo un ritocco di 650mila euro sul precedente accordo di 4,75 milioni. Si arriva perciò alla cifra di circa 5 milioni e mezzo (di cui 2,3 milioni però vengono stornati per pagare l’affitto dell’Ariston). Questo per cominciare. Poi c’è da mettere in piedi la baracca. In tutto, il Festival 2024 è costato circa 20 milioni, però ne ha incassati circa 54. Quindi i margini economici sono ragguardevoli. L’impresa sembra valere la spesa. Tuttavia bisogna considerare altri fattori. Primo: la tradizione Rai dura da 74 anni, il Comune – nonostante episodicamente abbia minacciato di rompere il contratto – non ha nessun interesse a mettere il prezioso giocattolo in mani inesperte. Secondo, l’eventuale futuro bando potrà essere disegnato in modo da favorire la Rai attraverso una serie di clausole studiate appositamente. Terzo, l’unica forza in campo in grado di affrontare l’impegno potrebbe essere Mediaset. Ma a Cologno le bocche più che cucite sono sigillate (nessun commento), pare difficile che il colosso della famiglia Berlusconi voglia intraprendere una strada così rischiosa, quando le sue trasmissioni vanno più che bene e i conti sono ottimi. Già nel 1994 Canale 5 ci aveva provato allestendo un ‘Festival italiano’ presentato da Mike Bongiorno. Ma gli esiti erano stati deludenti e la pratica archiviata per sempre.
Come si è arrivati alla pronuncia del Tar? Tutto nasce dal ricorso presentato da Sergio Cerruti, presidente dell’associazione di categoria dei discografici Afi e manager della società impegnata nel campo musicale JE. Nel marzo del 2023 la JE aveva trasmesso al Comune una "manifestazione d’interesse" per acquisire il marchio del Festival. Non avendo avuto risposta, aveva presentato ricorso al Tar. Tra l’altro, la convenzione contiene delle "clausole segrete" che non è possibile conoscere e che solo i giudici amministrativi, in via riservata, hanno potuto visionare. Ieri il Tar ha appunto deciso che il ricorso è fondato e che per il 2026 è necessario un bando.
Secondo la Rai "i giudici amministrativi hanno confermato l’efficacia della convenzione nonché la titolarità in capo alla Rai del format... Il Tar ha giudicato irregolari soltanto le delibere del Comune..." mentre il sindaco Alessandro Mager si è limitato a dichiarare che la sentenza del Tar verrà esaminata attentamente. Come cantava Josè Feliciano: "Che sarà, che sarà, che sarà... Da domani si vedrà".