
La sparizione di Alex Marangon, 25 anni, fu segnalata la notte tra il 28 e il 29 luglio dello scorso anno durante un rito sciamanico
Prima di morire, secondo la ricostruzione degli investigatori, cadendo da una terrazzamento alto più di dieci metri, sul greto del Piave, nei pressi dell’abbazia di Santa Bona a Vidor (Treviso), Alex Marangon potrebbe essere stato percosso al volto e al costato. L’ipotesi è contenuta nella perizia redatta da Alberto Furlanetto, consulente del pubblico ministero, nel contesto delle indagini sul decesso del 25enne di Marcon (Venezia), la cui sparizione fu segnalata la notte tra il 28 ed il 29 luglio dello scorso anno durante un rito sciamanico.
Il corpo del ragazzo venne ritrovato privo di vita sull’alveo ghiaioso del fiume, a poca distanza dal punto in cui si presume possa essere precipitato. Una tesi che non ha mai convinto la famiglia e chi si recò per primo sul luogo dove avvennero i fatti. I convenuti al rito sciamanico, all’incirca una trentina, si erano ritrovati in un’abbazia interna a uno stabile storico messo a disposizione dai proprietari all’associazione e normalmente ceduto in affitto per ricorrenze particolari come matrimoni o altri eventi. Nel corso delle pratiche, tra musica e discipline di orientamento spirituale, nella serata sarebbero state consumate droghe e sostanze derivanti da piante allucinogene sulla cui provenienza non è stata fatta ancora chiarezza. Tra gli aderenti alla funzione, in quella circostanza, erano presenti due "ospiti" occasionali di nazionalità colombiana, Jhonni Benavides e Sebastian Castillo, definiti come "curanderos" e figure esperte delle ritualità previste. Nessuno dei due compare come persona informata dei fatti nella documentazione raccolta dalla magistratura.
Marangon, secondo le testimonianze comunque ottenute dagli investigatori, sarebbe stato visto allontanarsi verso una macchia di vegetazione per poi non ritornare più. In seguito avrebbe anche avuto luogo una ricerca con le torce da parte dei compagni ma senza esito. L’autopsia avrebbe accertato, quali cause del decesso, i forti traumi riportati nella caduta e non un successivo annegamento nelle acque del fiume, in quel punto e in quel momento dell’anno connotato da un carattere torrentizio.
Per quanto riguarda la possibilità di un gesto volontario da parte della vittima, è intervenuto ieri uno dei legali della famiglia, Stefano Tigani, il quale ritiene che "pensare ad un’intenzionalità suicidiaria sulla base di una positività tossicologica o, ancor peggio, sulla base del riferito di persone di cui non è nota neanche la condizione psicofisica all’epoca dei fatti in esame sia quantomai rischioso, ancorché offensivo nei confronti di chi, come i genitori e la sorella di Alex attendono risposte chiare, ormai da oltre otto mesi. Bene farebbe sul punto la Procura – prosegue l’avvocato – a spiegare innanzitutto ora come mai i vigili del fuoco non hanno trovato tracce del passaggio del corpo di Alex tra rami e foglie e come mai un torace che impatta su rami non presenti alcun segno sulla cute, come di fatto specificato dallo consulente del pm".
Marco Principini