Venerdì 22 Novembre 2024
LUCA ORSI
Cronaca

Il ricordo di Flavia Prodi "Una vita spesa per gli ultimi" Andreatta: più a sinistra del Prof

Il politologo amico di famiglia: era a suo agio all’Onu come alla Festa dell’Unità "Aveva una personalità ricca e sofisticata. Più volte ha rifiutato la corsa a sindaco".

di Luca Orsi

I primi ricordi di Flavia Franzoni "si perdono nella notte della mia infanzia. Sono i battesimi e le comunioni dei suoi figli, di qualche anno più piccoli di me". Filippo Andreatta – 54 anni, direttore del Dipartimento di Scienze politiche e Sociali all’Unibo – ricorda con commozione e affetto la moglie di Romano Prodi, scomparsa martedì. E, nonostante il lungo rapporto che lega le loro famiglie (suo padre Beniamino Andreatta fu testimone di nozze dell’ex premier) la chiama "professoressa Franzoni". E le dava del lei.

I funerali della professoressa domani a Bologna, presieduti dal cardinale Matteo Zuppi.

Professor Andreatta, Flavia Franzoni fu allieva di suo padre.

"Si laurea in Scienze politiche, indirizzo economico, nell’Istituto fondato da mio padre. Papà la stimava molto, l’aveva in simpatia. Sperava diventasse un’accademica economista".

Invece?

"Per spirito ribelle, e per affermare la propria indipendenza, cui ha sempre tenuto, dalla figura di Romano Prodi, cambia disciplina. E con Achille Ardigò si avvicina alla Sociologia".

Un cambio di rotta netto.

"In effetti, studia una branca della Sociologia che si occupa delle marginalità, che tende a correggere gli errori degli economisti. E presto si afferma con le sue grandi qualità".

In che cosa si differenziava dal marito economista?

"Aveva una preparazione scientifica che si basava su una visione politica più progressista, più attenta agli aspetti del recupero delle povertà".

Insomma, era più... a sinistra del marito?

"Non è che Romano sia meno attento ai bisogni degli ultimi. Ma, con una forma mentis da economista, era ed è attento anche alla generazione di ricchezza".

Che tipo di persona era?

"Era una donna straordinaria. Che, dietro l’estrema, apparente semplicità con cui si presentava e parlava, in realtà nascondeva una personalità molto ricca, sofisticata e articolata".

Indipendente dal Prof ("Non chiamatemi la moglie di Prodi") ma sempre presente.

"In effetti, sono più le volte in cui ricordo Romano Prodi con lei che da solo. Ma quella della professoressa era una presenza non ingombrante, molto leggera. Parlava poco, ma non si poteva dire che non avesse peso nelle cose che diceva. È uno dei due contrasti apparenti che mi vengono in mente pensando a loro...".

L’altro?

"La loro bolognesità, anche celebrata, il loro amore per Bologna. Che si intrecciava con una spiccata dimensione internazionale. A casa Prodi, in via Gerusalemme, passava mezzo mondo. L’attività del Professore l’ha portato a incontrare i protagonisti della politica internazionale".

La professoressa come viveva quello che lei chiama ‘apparente contrasto’?

"Si trovava a suo agio alla Festa dell’Unità di quartiere come all’Onu".

Più volte le chiesero di candidarsi sindaca. Lei declinò sempre l’invito. Bologna ha perso un’occasione?

"Per come l’ho vista io nell’attività di ricerca, soprattutto all’Iress, e come docente a Scienze politiche, ha sempre fatto bene le cose che ha fatto. Sono sicuro che avrebbe fatto benissimo anche la sindaca".

Perché rifiutò sempre?

"Credo sia stata soprattutto una scelta di vita, di tutela della famiglia. Non una scelta politica. La professoressa conosceva bene i sacrifici a cui una famiglia è sottoposta quando uno dei genitori fa una scelta di quel genere".

Di che cosa parlavate, quando vi sentivate?

"Di tante cose... Anche, naturalmente, di università. Era molto curiosa di come la legge Gelmini avesse modificato l’università, del nuovo ruolo della Sociologia".

L’ultima volta che l’ha sentita?

"Stava cercando di aiutare un rifugiato. Voleva capire se in qualche modo l’Università poteva fargli avere un ruolo per ottenere un permesso di soggiorno. Aiutare i più deboli è stata, fino all’ultimo, la sua vocazione".