e Sandra Nistri
"Oggi sono passato davanti all’impianto di Livorno. Ci sono dei bellissimi addobbi di Natale. Ecco, mi chiedo se non sarebbe stato più utile investire quei soldi in sicurezza, magari facendo le manutenzioni la domenica, quando costano qualcosa in più, ma l’impianto è chiuso, le ditte intorno pure e non ci sono i camion a caricare". C’è tanta rabbia in una piazza stracolma, un migliaio di persone alla manifestazione (abbinata allo sciopero generale provinciale) organizzata da Cgil, Cisl e Uil di Firenze davanti al Comune di Calenzano. Ci sono cittadini, sindacalisti e rappresentanti delle istituzioni, tra i quali il governatore toscano Eugenio Giani, il presidente del consiglio regionale Antonio Mazzeo, i sindaci di Firenze Sara Funaro, di Calenzano Giuseppe Carovani e tanti altri primi cittadini. Alla lettura dei nomi delle vittime – Carmelo, Davide, Gerardo, Franco e Vincenzo – è scoppiato un lunghissimo, commosso applauso. Ma ci sono anche tra la folla tanti anche i lavoratori che, a vario titolo, frequentavano e frequentano il deposito Eni di Calenzano e la struttura analoga di Livorno. Molti di loro sono camionisti. Alcuni sono dipendenti di aziende che collaborano con Eni, altri sono lavoratori in proprio, i cosiddetti "padroncini".
"Sappiamo che il nostro lavoro prevede una quota di rischio – spiegano –, ma per quel rischio siamo ben formati. Facciamo continuamente corsi e ci aggiorniamo sulle procedure di sicurezza. Ma quando notiamo qualcosa che non va non è semplice per noi fermarci e dire che non andremo avanti nel carico".
"Certi lavori di manutenzione non li fai mentre ci sono i camion che caricano, con i camionisti presenti, i motori che vengono accesi per ripartire, i mezzi in movimento – si sfogano i colleghi degli uomini morti nella tragedia –. Se davvero ti preme la sicurezza li fai a impianto fermo. Blocchi le attività per un giorno, oppure intervieni di domenica, e pazienza se costa di più".
Pochi, pochissimi, accettano di parlare con nome e cognome. "Siamo qui per chiedere più sicurezza o almeno per far sì che si capisca come funziona questo lavoro – dice Juri Pellegrini, autista di camion, dipendente di una ditta esterna –. I ragazzi morti e feriti, a parte i due manutentori, li conoscevo tutti benissimo, ci vedevamo ogni mattina. Lunedì ero stato mandato a Ravenna, ma il 90% del mio lavoro lo carico a Calenzano. Il camion lo tengo parcheggiato lì, arrivo la mattina, lascio la macchina e prendo il camion. Se fosse successo lunedì prossimo… Che devo dire… Siamo arrivati a un punto in cui fare questo lavoro comincia a essere abbastanza pericoloso".
Anche ieri mattina, davanti al deposito Eni, in molti hanno evidenziato gli stessi concetti. "Nell’impianto, al momento dell’esplosione, erano in corso dei lavori – ha detto Davide Rossetti, autista di base a Livorno – presumibilmente di carpenteria. Considerando la nuvola di vapore che si vede nel video, è possibile che si sia rotto un disco di rottura della valvola a cinque effetti. Se il recupero non funziona bene o si rompe questa valvola, il vapore esce. Ma se non c’è l’innesco, la scintilla, non succede nulla. Se, veramente, ci sono stati dei lavori di carpenteria, ci potrebbe essere stato un innesco. Poi, non lo sappiamo: cosa sia accaduto lo accerterà solo la magistratura. Quello che possiamo dire è che noi facciamo tantissimi corsi, ogni cinque anni, a spese nostre; prendiamo l’Adr (il patentino per il trasporto di merci pericolose, ndr). Spendiamo tanti soldi e le nostre aziende ne investono altrettanti in abbigliamento, dispositivi, sicurezza… Ma così non basta. La sicurezza deve essere allargata a tutti quelli che operano in questi contesti, non puntata esclusivamente sugli autisti".