di Viviana
Ponchia
Ha affrontato una pandemia, un vulcano in eruzione, un attacco terroristico e le domande stupide dei giornalisti che le chiedevano se fosse possibile conciliare maternità e lavoro. Si è anche fatta autogol sul fronte matrimoniale: le nozze con Clarke Gayford furono rimandate un anno fa a causa delle restrizioni sul Covid prese proprio dal suo governo. Adesso Jacinda Ardern, esausta, si dimette da primo ministro della Nuova Zelanda, il Paese agli antipodi di tutto che da cinque anni aveva il suo volto: "Non ho più energie. Diamo tutto ciò che possiamo il più a lungo possibile e poi arriva il momento. E per me è questo il momento". Detto fra le lacrime e prima di sorridere al padre di sua figlia, quel marito rimandato a tempi migliori: "Adesso sposiamoci".
Chapeau. In un mondo dove conta tenersi aggrappati alla poltrona finché si può, questa giovane signora tosta e radiosa dà al mondo una lezione di stile e di sopravvivenza: quando il limone è stato spremuto fino in fondo, bisogna lasciare. E dicano pure che ha perso voti e simpatie, si impegnino a grattare per trovare lo scandalo. Non sono più fatti suoi. Quarantadue anni sono pochi per sentirsi vecchi, abbastanza per essere stanchi.
Non c’è mai un’età giusta per definirsi semplicemente "umani", come fa lei in cima alla salita. Da lassù lo aveva detto: "Probabilmente la politica è il posto peggiore in cui io possa stare". Però era rimasta. A battersi per l’uguaglianza di genere, l’aiuto alle famiglie, un futuro in cui sarebbe stato possibile per tutti e per davvero conciliare famiglia e lavoro. "Sii forte, sii gentile" è stato il suo motto. Per chi non capisse: "Fare il capo non significa essere quello che fa più rumore nella stanza. Penso a me stessa come a un ponte, alla cosa che manca nella discussione".
Lascerà il suo incarico il 7 febbraio, prima delle nuove elezioni del 14 ottobre. Aveva cominciato a fare politica a 17 anni e non dimenticava mai di ricordare il suo curriculum: "Ho lavorato in un negozio di fish and chips più a lungo che in Parlamento. Ho tante esperienze e la politica non basta a definirmi". C’era anche un passato da dj nei locali notturni. E la collezione di ukulele, un mezzo ripiego per non essere riuscita a diplomarsi in chitarra.
Nell’agosto del 2017 il mondo conobbe il suo volto di ragazza e un po’ meglio anche la nazione relegata nell’immaginario del Signore degli anelli. Pasionaria laburista, Jacinda Ardern era riuscita a ribaltare le sorti di un partito in declino grazie a una campagna fortemente mediatica, vivace e concentrata sui social network. Il più giovane primo ministro in 150 anni di storia, quella che aveva il coraggio di portare la figlia Neve appena nata all’Onu e il velo fra i musulmani. È stata dura con il virus e con se stessa e in cinque anni non si è fatta mancare niente, dagli incendi alla crisi climatica al terribile 2019: a marzo un suprematista bianco attaccò due moschee a Christchurch e fece 51 vittime (e lei annunciò la messa al bando delle armi usate nell’attentato), a dicembre il vulcano Whakaari provocò la morte di altre 21 persone.
Ci pensava dalla scorsa estate a dire basta: "Ho dato tutta me stessa per essere primo ministro, ma mi è costato molto. Sono umana. Avere un ruolo così privilegiato comporta responsabilità, tra cui quella di sapere in quale momento sei la persona giusta per stare al comando e in quale momento non lo sei. Non posso e non devo fare questo lavoro se non ho il pieno di energie". Ora va a sposarsi e toglie il suo amore dal posto privilegiato in cui dice di essersi trovato bene: starle dietro, badare alla bambina e andare a pescare. A Neve dice: "La mamma non vede l’ora di essere lì quando comincerai la scuola". E ai detrattori: "Una delle critiche che mi hanno rivolto in questi anni è di non essere stata abbastanza aggressiva. Ma l’empatia non è debolezza, piuttosto la faccia gentile della forza".