Un manto di generico buonismo pervadeva l’Assemblea nazionale del Pd di ieri, l’ultima del vecchio partito prima delle primarie che dovranno portare alla nascita di quello nuovo. Ma la vera preoccupazione sotterranea a tutto è che le primarie del 26 febbraio registrino un brutto calo di partecipazione che potrebbe segnare il de profundis del partito. Si spera che il 26 febbraio voteranno 900mila persone, ma potrebbero essere molto meno della metà del milione e 600 mila del 2019. Sarebbe un flop colossale.
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La scena che restituisce la sala dell’Antoniano di ieri è eloquente. La sala è semideserta. È vero, l’assemblea è anche in remoto, ma dovrebbe contare 1.200 delegati. Inoltre, i candidati vivono da separati in casa: Schlein all’estrema sinistra, Bonaccini in alto coi suoi, i delegati di Articolo 1 isolati, contro ogni galateo. E manca in toto il partito dei sindaci. In totale, un centinaio di persone fisiche e nessun militante. Bonaccini non elude il tema. "Quanti verranno ai gazebo? Ci faremo bastare quelli che vengono, ma faremo di tutto per farne venire ancora di più", dice e promette di voler consultare gli iscritti sui temi più controversi. Come pure dicono di volerli valorizzare gli altri candidati.
L’Assemblea è anche il canto del cigno del segretario uscente, Enrico Letta ("esco più innamorato del Pd di quando ho cominciatto"), che però si toglie solo due volte i sassolini dalle scarpe: quando dice che "non serve un nuovo segretario, ma un nuovo partito" (stoccata ai candidati) e quando ammonisce a non ripetere gli errori del passato ("appena dimesso, non uscirò per fare un nuovo partito": riferimento a Renzi e a Bersani). Va pur detto che se il faticoso compromesso sul Manifesto del nuovo Pd è stato trovato è merito suo. Il Manifesto contiene anche quei passaggi al centro di un duro braccio di ferro tra la componente liberal-riformista e quella di sinistra. L’assemblea approva il Manifesto a larga maggioranza: 18 i voti contrari e 22 gli astenuti.
Decisivo, appunto, il "Lodo Letta": il Manifesto è, da subito, valido e cogente. Ma non sostituisce già ora la Carta dei Valori del 2007, strenuamente difesa dall’ala liberal e riformista, la integra. Se ne occuperà il prossimo segretario e la prossima Assemblea nazionale che, volendo, potrà ancora cambiarla e integrarla. Intanto, però, con la nuova Carta dei Valori, Articolo 1 è rientrato nel Pd e voterà al congresso. Letta parla di "primo giorno di primavera", per il Pd, ma fuori la sala si gela.
Poi Letta cita un canto liturgico, il Canto delle tre tende, per invitare i dirigenti del Pd a stare in mezzo alla gente, chiede una "stagione dell’autenticità in cui non si finge con l’ipocrisia", però evita l’affondo: "Amarezze e ingenerosità le tengo per me", ma consapevole che "ora il mio telefono non squillerà più".
Il via libera al Manifesto e alle regole (ci sarà il voto online pur limitato a una serie rigida di casi) apre ufficialmente anche la sfida fra i candidati. Stefano Bonaccini, Gianni Cuperlo, Paola De Micheli ed Elly Schlein si alternano sul palco dell’Auditorium Antonianum per illustrare le loro piattaforme. Nessuno entusiasma, nessuno affonda. Polemiche sopite, tanti bei paroloni. Bonaccini chiede al Pd di avere "cultura di governo anche dall’opposizione" il che significa che a ogni "No" in Parlamento alle proposte della maggioranza ci deve essere una proposta alternativa. Il governatore vuole parlare anche agli elettori passati a votare per Lega e FdI. La De Micheli, che si autodefinisce la "sindacalista" degli iscritti del Pd: lotta perché contino di più. E anche Cuperlo. Elly Schlein punta ad allargare il ricorso alle primarie alla scelta dei candidati in Parlamento: chiede, in pratica, le primarie di collegio. Ma pure Bonaccini. Tutti e quattro sono pronti a chiedere una mano ai competitor. Le primarie insomma ora (si spera) potranno entrare finalmente nel vivo.