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Un gruppo di bambini davanti alla statua di Wojtyla fuori dal Gemelli dove da venerdì è ricoverato papa Francesco
Dal letto alla poltrona, un piccolo passo nel tragitto faticoso e auspicato della guarigione. Papa Francesco, 88 anni, sta un pochino meglio rispetto ai giorni precedenti. È quanto filtra dal suo ricovero blindato al decimo piano del Gemelli di Roma; è ciò che mette nero su bianco nella serata di ieri la Sala stampa vaticana. Prima di pranzo ha anche ricevuto in visita per una ventina di minuti la premier, Giorgia Meloni, che, all’uscita dall’ospedale, si è detta contenta di averlo trovato vigile e reattivo. "Abbiamo scherzato come sempre – ha aggiunto –. Non ha perso il suo proverbiale senso dell’umorismo".
La giornata del Pontefice, ricoverato da venerdì, era iniziata con la colazione e la lettura di qualche quotidiano, seguite da alcune attività lavorative con i suoi più stretti collaboratori. Si è seduto anche in poltrona. Il suo cuore sembra reggere la pesante terapia antibiotica mirata, necessaria a debellare la polmonite bilaterale. La cura si mostra efficace e la respirazione è autonoma. "Le condizioni cliniche del Santo Padre si presentano stazionarie – scrivono dalla Santa Sede –. Gli esami del sangue, valutati dallo staff medico, dimostrano un lieve miglioramento, in particolare degli indici infiammatori". Un piccolo sospiro di sollievo in una situazione comunque delicata.
"Non deve prendere neanche un colpo d’aria", raccomanda l’equipe medica, che lo ha in cura, a chi lo assiste. Improbabile vederlo al balcone per l’Angelus domenica, perché anche una banale apertura di finestra potrebbe pregiudicarne la lunga degenza. In particolare, suonano decisive le prossime 48 ore per comprendere se l’organismo del Papa, in sovrappeso data la scarsa mobilità dovuta alla gonalgia all’arto destro e messo già a dura prova dalla Bpco trattata con farmaci cortisonici in vena, stia reagendo a pieno. In questo contesto sono circolate voci su una possibile rinuncia del Pontefice al ministero petrino sull’onda del predecessore, Benedetto XVI, una volta guarito dall’infezione polimicrobica alle vie respiratorie. Pur se Francesco da sempre considera percorribile l’ipotesi – come ogni successore di Pietro da Paolo VI in avanti, ha consegnato alla Segreteria di Stato vaticana nel 2013 la lettera anticipata di dimissioni per ragioni di salute –, la questione non è all’ordine del giorno. Almeno per tre motivi interconnessi: Bergoglio è convinto nel profondo della natura ad vitam del ministero petrino; giustifica nella sua ottica il passo indietro solo nel caso in cui non sia più lucido per governare la Chiesa; la battaglia contro la polmonite bilaterale è per dirla senza infingementi una lotta per la vita. O esce dal Gemelli con lo scudo, ossia pienamente in sé, o sopra lo scudo, come sintetizzerebbero le madri degli opliti spartani.
Storia a parte, il Papa ha voluto pubblicare il testo della catechesi preparata per l’udienza generale del mercoledi annullata causa ricovero. Sono "i poveri e gli stranieri ad essere invitati tra i primi a incontrare il Dio fatto bambino", si legge nel documento. Di contro "per chi è attaccato al potere, Gesù non è la speranza da accogliere, ma una minaccia da eliminare". Un uno-due, che suggerisce l’attualità delle deportazioni dei migranti irregolari decisa dal potente dei potenti, Donald Trump, la cui politica è stata stigmatizzata da Bergoglio. E proprio ieri, per la prima volta in modo netto e unitario, si sono fatti sentire sul tema anche i vescovi Usa. Nei giorni scorsi erano stati sollecitati proprio dal Papa ad alzare la voce. La Conferenza episcopale americana ha così citato in giudizio l’amministrazione Trump, chiedendo a un giudice di dichiarare illegale la sospensione degli aiuti ai rifugiati. Un’altra buona notizia per Francesco nel suo lento e accidentato cammino verso la guarigione.