"Ho un invito in questo momento da rivolgere a tutti i maschi: dite ‘Ti amo’ alla vostra moglie, alla vostra compagna, non abbiate paura di farlo". Sobrio, composto, colmo di dolore ma mai rabbioso, commosso ma senza lacrime, analitico nelle sue riflessioni e determinato: Gino Cecchettin, il padre di Giulia uccisa a 22 anni da Filippo Turetta (che non ha mai nominato) , è stato ospite di Fabio Fazio a "Che tempo che fa" sulla Nove come lo avevamo conosciuto da quando la sua Giulia e l’ex ragazzo non erano rientrati a casa. Già allora, e lo ha detto anche ieri sera, aveva capito, da padre, che era accaduta la cosa peggiore riuscendo a vivere poi l’agonia della scomparsa culminata con il ritrovamento del cadavere della figlia quasi una settimana dopo con rassegnazione ma senza mai strillare. Evitando polemiche e invocando il futuro.
Ventuno minuti introdotti da un lungo applauso degli spettatori in studio che si sono subito sincronizzati con la figura del padre che non cerca vendetta ma giustizia. Fiocco rosso all’occhiello di un abito blu, Gino ha ricordato come ha cercato soprattutto in se stesso di capire "quali siano state le cause che mi hanno fatto vivere questa tremenda avventura. La mia mente razionale – ha detto Cecchettin – mi ha fatto astrarre dal dolore per capire per prima cosa dove avessi sbagliato io e come potessi venire in aiuto di qualcuno che si trovasse nelle mie condizioni". Con il "cuore e con la metodologia che metto in pratica nel mio lavoro" Gino Cecchettin si è messo alla ricerca di una soluzione e di un percorso che possa portare a sconfiggere il femminicidio, a "essere in grado di portare avanti una battaglia di cui non ero a conoscenza".
Battaglia che si inserisce dopo che un anno fa un tumore gli aveva portato via la moglie Monica. "Devo ringraziarla – ha detto – perché mi ha insegnato la cosa più importante: l’essenza dell’amore, lei che poco prima di morire si è scusata con me per essersi ammalata". Un fatto che lo ha portato a un "cambio di atteggiamento". "Penso a tutt’oggi che Elena, che è un essere superiore, avesse ragione nel pronunciare la parola patriarcato – ha detto Gino Cecchettin – che non è altro che il concetto di possesso che i maschi pensano di poter avere con chi considerano loro proprietà. Impariamo a non chiamare chi sta accanto a noi ‘la mia donna’, ma con termini più giusti: la mia compagna, la mia moglie, non un essere più debole. E nel quotidiano dobbiamo cambiare il modo di vedere la società, sconfiggere retaggi culturali che nella normalità non provocano danni ma che in persone più deboli e più fragili che non riescono a digerire la libertà della donna possono sfociare nella violenza e nel femminicidio". Cecchettin auspica "agenti di cambiamento" a cominciare da espressioni che si usano tutti i giorni: "In una discussione con un amico ho iniziato dicendo ‘parliamo da uomo a uomo’ ma mi sono subito bloccato: quella è espressione di patriarcato, i messaggi da lanciare sono altri".
Come quello legato alla rabbia: "Io voglio essere come era Giulia: ho concentrato tutto me stesso su di lei e ho azzerato la rabbia, come faceva lei io voglio amare non voglio odiare, voglio danzare sotto la pioggia non sopravvivere nella tempesta". Ora Gino intende raccogliere le forze e veicolare la sua tragedia per evitarne altre: "Attraverso una fondazione o un’associazione mi impegnerò in una battaglia di comunicazione e comprendere i motivi perché una persona normale possa agire e diventare un mostro: nessuno lo è se viene educato a cominciare dal rapporto fra genitori e figli: non dobbiamo essere amici, ma parlare con loro e capire se hanno debolezze e possono diventare pericolosi". Infine ha ringraziato Luca Zaia e il ministro Giuseppe Valditara che hanno inviato alle scuole il testo del suo discorso al funerale di Giulia.