Lunedì 13 Gennaio 2025
REDAZIONE CRONACA

Il padre del ragazzo morto: "Basta con le violenze nel nome di mio figlio"

L’appello di Yehia Elgaml: verità e giustizia, non strumentalizzate la sua figura "Non andate contro le forze dell’ordine che si occupano della nostra sicurezza".

Yehia Elgaml, il padre di Ramy, mostra una foto del figlio morto dopo un inseguimento coi carabinieri

Yehia Elgaml, il padre di Ramy, mostra una foto del figlio morto dopo un inseguimento coi carabinieri

di Marianna Vazzana

"Per favore, fate solo manifestazioni pacifiche in nome di mio figlio. Ramy avrebbe voluto così". Lo ribadisce Yehia Elgaml, il padre di Ramy, il diciannovenne morto lo scorso 24 novembre durante un inseguimento dei carabinieri. Quella notte il giovane, che avrebbe compiuto 20 anni il 17 dicembre, era in sella a un TMax guidato da un amico che non si è fermato all’alt. Ieri, dopo gli scontri e le violenze andati in scena nei cortei per Ramy a Roma e Bologna, la famiglia del giovane, in una nota, ha "condannato ogni forma di violenza e vandalismo" chiedendo che "la sua figura non venga strumentalizzata per fini che non hanno nulla a che fare con la nostra richiesta di verità e giustizia per cui abbiamo riposto massima fiducia nella magistratura e nelle forze dell’ordine". Yehia Elgaml ha ripetuto il suo messaggio nel pomeriggio, davanti al cancello della palazzina popolare di via Mompiani, al Corvetto, il quartiere in cui vive con la famiglia.

Cosa chiede a chi manifesta?

"Manifestazioni solo pacifiche, tranquille, in cui si cammina e basta, senza creare problemi. Ramy non avrebbe voluto questo. E parlo non solo per Milano ma per tutte le città d’Italia, quando si organizzano iniziative per chiedere giustizia e verità per mio figlio".

Nei cortei ci sono stati anche agenti feriti. Come ha reagito, vedendo le immagini degli scontri?

"Sono arrabbiato per questo. Per me è sofferenza vedere quello che è capitato. Chiedo di non creare problemi. Di non andare contro la polizia, perché le forze dell’ordine si occupano della nostra sicurezza in tutta Italia. Io ho fiducia nelle forze dell’ordine, nella Repubblica italiana e nel presidente (Sergio Mattarella, ndr): viviamo sotto il suo ombrello, non solo gli italiani, ma anche gli immigrati e gli stranieri. Ho fiducia anche nei carabinieri".

Una fiducia che resta, andando oltre quello che è successo la notte della morte di Ramy?

"C’è qualche carabiniere sbagliato, ma gli altri sono bravi. Io ho fiducia nei carabinieri bravi, non in quelli sbagliati. A me è capitato di essere controllato, come succede a tutti. Ho dato i documenti, sono stati gentilissimi. “Prego, vada“, mi hanno detto dopo aver controllato. Questa è la normalità".

Suo figlio è diventato un simbolo. Si aspettava questo “moto“?

"Mio figlio Ramy era un bravo ragazzo, lavorava, non faceva nulla di male. Gli piaceva vivere in Italia, amava lo sport e stare con gli amici. Era un ragazzo come tutti. Io non voglio che il suo nome sia usato da chi distrugge, non mi aspettavo questo. Io mi aspetto solo giustizia e verità".

Avete in mente qualcosa per ricordarlo, un’iniziativa, un luogo che vorreste dedicare alla sua memoria?

"Negli incontri istituzionali con il sindaco Giuseppe Sala e con il presidente della Regione Attilio Fontana – e li ringrazio entrambi per la vicinanza – abbiamo chiesto di poter creare qualcosa in quartiere, dedicato a Ramy: qualcosa per i giovani, per i ragazzi di questa zona. Sarebbe bello anche un memoriale per ricordarlo. Lo abbiamo proposto, speriamo si possa concretizzare".

Al di là delle manifestazioni pacifiche, ha qualche altro desiderio?

"La mia famiglia sta soffrendo molto, la morte di Ramy ha stravolto le nostre vite, chiediamo tranquillità anche per noi. Silenzio, in attesa che la giustizia faccia il suo corso. E io ho fiducia nella magistratura. Riceviamo tante telefonate, sentiamo pressione. Comprendiamo la situazione ma chiediamo di considerare anche che abbiamo bisogno di calma, soprattutto adesso. Io ho perso un figlio, mia moglie anche. Suo fratello è rimasto senza il suo Ramy. Quello che proviamo è un dolore grandissimo che chiediamo di rispettare".