ROMA
"Gli attentati del venerdì santo cadono all’interno di un contesto nazionale israeliano e regionale alquanto convulso. In Cisgiordania e a Gerusalemme da almeno due anni si registrano violenze ininterrotte e la situazione è così calda che ritengo che, anche per il rischio emulazione, vi sia in concreto rischio di ulteriori attacchi terroristici nei prossimi giorni, tra domani, Pasqua cristiana, e la Pasqua ebraica, che cade il 13 di aprile". Così Giuseppe Dentice (foto sotto), responsabile del Desk Medio Oriente e Nord Africa del Ce.Si - Centro Studi Internazionali.
L’attentatore voleva colpire ebrei o turisti?
"Non lo sappiamo, ma è verosimile pensare che volesse massimizzare il numero delle vittime. La zona dove è avvenuto l’attacco è molto frequentata da turisti stranieri, quindi presumibilmente all’attentatore andava benissimo che fossero colpiti anche non ebrei, per alimeare l’idea che tutti in Israele possono essere bersaglio di azioni terroristiche, proprio come tutti palestinesi possono essere colpiti da Israele".
Come mai l’uso delle auto e non di armi automatiche o esplosivi?
"Si colpisce con quello che si ha, e del resto l’uso delle auto lanciate ad alta velocità per investire passanti, difficilmente prevenibile e attuabile anche da terroristi fai-da-te, è stato già visto molte volte in Israele".
La questione palestinese resta irrisolta e il governo conservatore israeliano non sembra affatto intenzionato a cercare una mediazione; anzi, come si è visto con l’irruzione della moschea di Al Aqsa, crea occasioni per l’innalzamento della tensione. Netanyahu manterrà la linea dura?
"Non ci sono segnali di senso diverso. Con questo nuovo governo abbiamo visto una escalation e già qualcuno parla di “terza intifada“. L’intervento nella moschea Al Aqsa è stato oggettivamente un pessimo segnale della linea che il governo intende portare avanti con i palestinesi. Linea dura".
Nel Medio Oriente però ci sono segnali di dialogo, ad esempio tra Arabia Saudita e Iran, due arcinemici, che si parlano con la mediazione cinese. Può essere nel contesto del Medio Oriente un altro tassello di accordi settoriali come quelli di Abramo tra Israele, Bahrein e Emirati Arabi Uniti, che riducano la tensione nell’area?
"Quello tra Teheran e Riad è un avvio di dialogo per cercare un equilibio tra i due attori regionali. Ma allo stato è solo un tentativo ed è cosa molto diversa dagli accordi di Abramo. E vero che entrambe le inizative diplomatiche guardano ad una stabilizzazione del Medio Oriente ma con obiettivi e catalizzatori diversi, uno la Cina, l’altro gli Stati Uniti".
Quali sono i punti maggiormete delicati oggi nello scacchiere mediorientale?
"Sono tanti. Uno è sicuramnente quello di Israele e Palestina, un altro decisivo è la Siria. Il processo di distensione e di stabilità del mondo arabo passa dalla Siria. Se il dialogo tra Iran e Arabia Saudita avrà successo avrà effetti positivi in Libano, Iraq e Yemen ma la sfida è far sì che abbia effetti positivi anche nella crisi siriana, ricompattando la comunità araba. È una sfida difficile, ma se venisse meno il forte confronto regionale tra Riad e Teheran si potrebbero aprire gli spazi anche per ragionare su soluzioni negoziali tra Israele e Palestina. Ovviamente, ci vorrebbe la volontà di Israele e delle diverse fazioni palestinesi, che allo stato non sussiste".
Alessandro Farruggia