Difende la categoria. Non per solidarietà tra annunciatori di rovesci, ma per evidenza di previsioni azzeccate. "Aemet, la società spagnola di meteorologia alle dipendenze del governo – spiega Luca Mercalli, 58 anni presidente della Società meteorologica italiana – aveva correttamente stabilito prima l’allerta arancione poi l’allerta rossa su tutta l’area valenciana. È stata l’amministrazione regionale a non cogliere l’allarme e anzi a depotenziarlo con messaggi sbagliati. Addirittura per bocca del proprio governatore. Tutto quello che è successo deriva da questa sottovalutazione".
Già oltre 200 morti e un bilancio che potrebbe pesantemente aggravarsi con la conta dei dispersi. Quale messaggio ci consegna la Dana valenciana?
"Alti livelli di autonomia amministrativa, se mal gestiti, possono produrre disastri. Perché ci sarebbero stati egualmente danni straordinari, ma infinitamente meno vittime, se l’allerta non fosse stata ignorata, o se il servizio meteo nazionale avesse avuto gli strumenti per imporsi".
La Spagna ha fama di paese molto pragmatico, eppure ha fallito. L’Italia al confronto?
"Decisamente più organizzata. E in grado di gestire fenomeni complessi. Non solo le previsioni delle varie Arpa regionali hanno un riconosciuto livello di precisione, ma tutta la catena trasmissiva degli allarmi generalmente funziona bene. I meteorologi comunicano le previsioni avverse alle prefetture, i prefetti mettono in moto sindaci, Protezione civile e forze dell’ordine, e così tutte le autorità preposte entrano automaticamente in modalità emergenza".
Forse siamo anche più allenati a lottare con acqua e fango?
"Le quattro recenti alluvioni emiliano romagnole testimoniano una notevole capacità di mobilitazione. É quello che in Spagna è completamente mancato. Sa cosa mi fa venire in mente il disastro di Valencia?"
Dica.
"L’alluvione del Tanaro nel 1994 con 69 morti. Un disastro nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo di cui proprio in queste ore ricorre il trentennale. Si accumularono precipitazioni eccezionali a partire dalla notte tra venerdì 4 e sabato 5 novembre: proprio a cavallo del weekend, quando prefetture, caserme e comuni hanno da sempre meno personale in servizio. All’epoca internet e telefonia mobile erano agli albori. Le amministrazioni dello Stato comunicavano via fax. Così mancò sia la tempestività dell’allarme sia la capacità di coordinamento".
Ma a Valencia i rovesci sono stati qualcosa di mai visto.
"Ci sono punti in cui non è neppure piovuto mentre a 5 chilometri di distanza c’era il finimondo. Quando in un giorno cadono fino a 600 litri d’acqua – e quindi anche 600 chili di peso – per ogni metro quadrato di territorio, la sciagura ambientale ed economica è certa. Non sta invece né in cielo né in terra la perdita di così tante vite umane".
C’è anche una corresponsabilità dei cittadini?
"Abbiamo lo smartphone, il web, i social. Passiamo ore a cliccare su tutto, anche sulle pagine più futili, ma non ci informiamo mai sulle allerte meteo. Eppure i radar pluviometrici sono facilmente consultabili".
In caso di alluvioni?
"Mai provare a salvare l’auto, ma solo la pelle. Auto e garage sono trappole. Perché esiste una responsabilità personale nel mettersi in sicurezza. Non si può pensare che ci sia un vigile del fuoco, un carabiniere o un militare per ogni cittadino. Quelli devono essere a disposizione per i casi disperati".
Chi dovrebbe farsi carico di questa rivoluzione educativa?
"La scuola anzitutto, poi la Protezione civile. E se c’è un’emergenza, si reagisce secondo i protocolli con la necessaria disciplina. Per l’uragano Milton, in Florida, 5 milioni di persone su 6 hanno lasciato diligentemente le loro case. Anche per questo, su un’area incomparabilmente più vasta di quella di Valencia, e a fronte di una minaccia ben più potente, si sono registrati appena 16 morti".