Sabato 9 Novembre 2024
ALESSANDRA CODELUPPI
Cronaca

Il martirio di Saman: "Era pronta a fuggire". I giudici: ad ammazzarla forse è stata la madre

Reggio Emilia, le motivazioni della sentenza sull’omicidio della 18enne "Non fu uccisa perché si oppose al matrimonio combinato. Il movente? Lei non lasciava il fidanzato, voleva andarsene con lui".

Il martirio di Saman: "Era pronta a fuggire". I giudici: ad ammazzarla forse è stata la madre

Il martirio di Saman: "Era pronta a fuggire". I giudici: ad ammazzarla forse è stata la madre

e Daniele Petrone

"Saman non fu ammazzata per essersi opposta al matrimonio combinato. Ma perché voleva fuggire". E ancora: "Non si esclude che sia stata la madre a compiere materialmente il delitto".

Tre anni esatti dopo il barbaro omicidio, arriva la prima verità processuale scritta dai giudici che hanno depositato 600 pagine di motivazioni della sentenza di primo grado pronunciata poco prima di Natale scorso. Per la Corte d’Assise del tribunale reggiano, a uccidere la 18enne pakistana nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021, a Novellara di Reggio Emilia, potrebbe essere stata la madre Nazia, tuttora latitante, condannata all’ergastolo in contumacia. E non solo lo zio Danish Hasnain che – come ipotizzato sin dall’inizio dall’accusa – l’avrebbe strangolata. Zio (condannato a 14 anni, pena attenuata dalla sua collaborazione con gli inquirenti che grazie a lui hanno trovato il cadavere della ragazza occultato tre metri sotto terra in un casolare abbandonato a cento passi dall’abitazione dove viveva la famiglia) che comunque, assieme ai genitori Nazia e Shabbar (ergastolo per entrambi) sono considerati tutti e tre "pienamente parimenti coinvolti" nell’assassinio e "compartecipi della sua realizzazione".

E il movente? La giovane non voleva lasciare il fidanzato Saqib Ayub (costituitosi parte civile al processo) e voleva scappare con lui per sposarsi e vivere insieme. Una fuga che nella cultura della sua famiglia è vissuta come un’onta. Di questo sono convinti i giudici che riducono e dimensionano la vicenda.

La sentenza non risparmia infatti critiche alla ricostruzione accusatoria e demolisce personaggi significativi per gli inquirenti come Alì Haider, il fratello della ragazza, e il fidanzato stesso. Restano tuttavia molte perplessità su come la volontà di fuggire con un fidanzato inviso alla famiglia Abbas, possa essere slegato dal rifiuto di Saman alle nozze combinate con un cugino in patria, lui sì accettato dai genitori. Ma il giudizio è implacabile e non salva nessuno: la vita di Saman, scrive la Corte (presidente Cristina Beretti, estensore Michela Caputo) "non è stata solo spezzata ingiustamente e troppo presto, ma vissuta attorniata da affetti falsi e manipolatori, in una solitudine che lascia attoniti".

Al fratello, minorenne all’epoca dei fatti, sono dedicati lunghi passaggi. Da testimone cruciale, accusatore dei propri familiari (aveva detto di aver visto lo zio e i cugini quella sera), il giovane diventa un bugiardo, inattendibile, inaffidabile, con sospetti ribaditi di un suo coinvolgimento diretto. Per la Corte andava indagato o quantomeno approfondita in sede d’indagini la sua posizione. "Una serie impressionante di non ricordo, oltre 120, con cui si è risposto a larghissima parte dei chiarimenti richiesti dai difensori degli imputati da lui accusati", ribadiscono i giudici. Nessuna prova neppure della riunione, da lui riferita, in cui i familiari si sarebbero trovati, giorni prima, per discutere di come uccidere la ragazza. Né dimostra nulla il video del 29 aprile, dove vengono ripresi zio e cugini con le pale. E proprio su quel filmato e quindi sulla premeditazione, poi caduta nella sentenza, si basavano le accuse di concorso morale e materiale all’omicidio nei confronti dei due cugini imputati Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, entrambi assolti: "Si evidenzia la scarsità degli elementi a sostegno dell’accusa", il giudizio tranchant della Corte.