"La repressione da sola non basta, occorre conquistare la società e creare comunità educanti". A parlare è Marco Rossi Doria, primo "maestro di strada" d’Italia, ex sottosegretario all’Istruzione e dal 2021 presidente di "Con i bambini", un’organizzazione senza scopo di lucro nata nel 2016 e diretta ad attuare i programmi del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.
Il fenomeno delle "stese" non è nuovo, ma ora assume toni preoccupanti. Cosa ne pensa?
"Queste attività criminali, insopportabili e gravissime, recano in sé un doppio messaggio: per i media e per lo Stato".
E come va inteso questo messaggio?
"Come una sottolineatura identitaria che si può tradurre così: noi ci siamo ancora. È un messaggio di presenza rivolto allo Stato e a frange minoritarie e residuali. Quando in un territorio lo Stato alza la voce e vuole imporre il monopolio della legge, ecco che scatta la contrapposizione con chi vuole riaffermare la propria presenza con le armi, le ’stese’ e il terrore. È un fatto fisiologico, è sempre stato così".
Torneranno a sparare, come dice don Patriciello?
"È un momento pericoloso. Da un lato è una sfida allo Stato, a noi, alla Repubblica, alla legge. Dall’altro, è il segnale di una debolezza. Lo Stato ha battuto un colpo e loro reagiscono in modo scomposto. Se non ci fosse stato un intervento per il ripristino della legge, probabilmente non avrebbero avuto bisogno di farsi sentire".
Il Viminale annuncia l’arrivo di altri carabinieri e alza l’asticella dei controlli e della repressione.
"Questi criminali hanno sentito il cambio di passo. Ma ora il problema dei cittadini onesti di Caivano, che sono il 90% degli abitanti del Parco Verde, è che quel territorio non può diventare una piazza di scontro e contrapposizione militare. Bisogna conquistare la società, affascinare i ragazzi del quartiere, dare forza alle associazioni del terzo settore, incoraggiare i docenti. In una battuta: questa situazione non si recupera con un’escalation solo di tipo repressivo. La gente deve sentire che c’è un esercito civile unito che intende assumere un impegno per una battaglia lunga e difficile, ma che è l’unica che può produrre cambiamenti. È già successo in passato. All’inizio degli anni Novanta a Napoli avvennero due cose: un grande giro di vite sui clan e interventi sul lavoro e sul tessuto sociale con la legge 285, i progetti per i bambini e l’attivazione nei quartieri poveri del privato sociale in alleanza con le scuole. E le cose mutarono davvero".
Più scuola, più sport, più terzo settore, più lavoro. Si può vincere questa battaglia con le poche risorse messe in campo?
"Ma le risorse non sono poche! Oltre a quelle annunciate, ci sono risorse strategiche che già sono in campo con il Pnrr. Dieci mesi fa sono stati dati fondi alle scuole. Oggi c’è una discussione importante sul ‘pacchetto Sud’ e sul fatto che possa avere delle ricadute anche sul terzo settore. Il tema vero è che queste risorse devono essere spese evitando alcuni errori. Bisogna creare delle comunità educanti e finanziarle, evitando inutili e deleterie concorrenze per accaparrarsi i soldi. La rendicontazione deve essere rigorosissima, ma anche più semplificata e non burocratizzata. Occorre, in definitiva, creare una rete e dare fiducia a chi resta, anche dopo l’emergenza. È un impegno di lungo periodo, durerà anni".