Roma, 24 aprile 2023 – Con l’eliminazione degli ospedali psichiatrici giudiziari – chiusi progressivamente tra il 2013 e il 2015 – si è creato un sistema per la gestione dei malati psichiatrici gravi, autori di reato, di esclusiva competenza del Ministero della Sanità, che appare a molti inadeguato a tutelare la sicurezza degli operatori, della società e degli stessi malati.
"Una volta – osserva lo psichiatra forense Renato Ariatti dell’Università di Bologna – le esigenze di difesa sociale prevalevano sulla tutela della salute del singolo paziente, oggi è vero il contrario. Prima i pazienti pericolosi erano destinati all’ospedale psichiatrico giudiziario, certamente con alcune aberrazioni legate ad ambienti assolutamente inumani, ma con garanzie certe di controllo dei comportamenti; adesso invece l’ottica si è ribaltata, creando delle strutture residenziali e non ospedaliere, purtroppo non sempre accessibili per lunghe liste di attesa, e che non sempre garantiscono un’adeguata protezione verso le manifestazioni più eclatanti dei pazienti". L’accesso alle Rems – che sono 30 – avviene su disposizione dell’autorità giudiziaria dopo che un perito ha stabilito che la persona è inferma di mente, e quindi viene prosciolta in quanto non imputabile rispetto ad un determinato reato, ma, se giudicato pericoloso, è necessario applicargli una misura di sicurezza detentiva come la Rems fino a quando non ci sarà una rivalutazione delle sue condizioni psichiche. "Il paziente prosciolto in quanto infermo e totalmente incapace di intendere e di volere – sottolinea ancora Ariatti– non può per legge rimanere in carcere e deve essere immediatamente scarcerato, ma il problema è che spesso ci sono delle lunghe liste di attesa per le Rems e quindi nell’attesa del ricovero si possono creare delle “terre di nessuno” nelle quali dei pazienti pericolosi sono in giro per l’Italia".
Sulla questione è intervenuta anche la Corte Costituzionale con la sentenza 22 del 2022. "L’applicazione concreta delle norme vigenti in materia di residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) nei confronti degli autori di reato affetti da patologie psichiche – si legge – presenta numerosi profili di frizione con i principi costituzionali, che il legislatore deve eliminare al più presto". Emerge una "sottovalutazione delle problematiche relative alla sicurezza interna ed esterna alle Rems", ove gli operatori incontrano difficoltà "estreme nella gestione dei pazienti psichiatrici connotati da personalità particolarmente violente ed aggressive". E il problema non è solo la sicurezza dei ricoverati, ma garantire il ricovero a tutti quelli che ne avrebbero necessità. Dall’istruttoria disposta dalla Corte è emerso, in particolare, che (al 2021, ndr) "sono tra 670 e 750 le persone attualmente in lista d’attesa per l’assegnazione ad una Rems"; che "i tempi medi di attesa sono di circa dieci mesi, anche molto più lunghi in alcune regioni".
La Corte ha sottolineato che il sistema non tutela in modo efficace né i diritti fondamentali delle potenziali vittime di aggressioni, né il diritto alla salute del malato. Di qui il monito al legislatore affinché proceda, senza indugio, a una complessiva riforma di sistema. Ma la riforma non c’è. E nel frattempo i casi di aggressione si susseguono. Sempre a Pisa, a gennaio, un giovane toscano di 24 anni con conclamati problemi psichici è stato arrestato per il tentato omicidio di un uomo di 74 anni e per lesioni personali gravissime e permanenti ai danni di un 36enne, mentre a febbraio un paziente ricoverato nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Chioggia ha ferito 4 infermieri che cercavano di calmarlo durante una crisi.