Giovedì 6 Marzo 2025
MARCO GALVANI
Cronaca

Il figlio Fabio: "Andava al lavoro in bici. Parlava poco di calcio"

Da quando era tornato nella sua terra seguiva l’Udinese

Fabio Pizzul, giornalista, politico, docente è uno dei tre figli della ‘voce della Nazionale’

Fabio Pizzul, giornalista, politico, docente è uno dei tre figli della ‘voce della Nazionale’

di Marco Galvani

MILANO

"Cosa direbbe papà adesso, a leggere i messaggi di affetto per lui? ‘Sono tutti matti, ho solo raccontato le vicende di 22 che correvano in mutande dietro a un pallone’". Del resto "lui era così, ironico. Soprattutto verso se stesso". Con stile. Garbo. Narratore romantico dello sport, del calcio, dei suoi eroi. Anche se Bruno Pizzul "a casa era un po’ più silenzioso rispetto a come appariva". Fabio, docente, politico, giornalista, è uno dei tre figli della ‘voce della Nazionale’. Ma "di calcio, in famiglia, si è sempre parlato poco".

Però lo guardavate…

"Qualche giorno fa abbiamo sorriso insieme per la folle vicenda del rigore che Lucca ha preteso di tirare a dispetto di compagni e mister in Udinese- Lecce. Avesse dovuto fare la telecronaca, avrebbe evocato la disfida di Barletta: ‘Sono cose che non si possono vedere, non vorrei essere nei panni di Lucca se sbaglia il rigore’. Avrebbe commentato così. Da quando era tornato in Friuli seguiva la ‘sua’ squadra".

E il grande Torino?

"Da piccolo era tifoso del Toro, ma, ci confessò, più per reazione contro il gruppo di ragazzini che aveva il pallone e non lo facevano giocare sempre. Loro erano juventini".

Poi la professione lo ha portato a tifare per tutti e per nessuno. Nessuna simpatia particolare?

"Nessuna. Lui era legato più alle persone. Ci raccontava che allora con i calciatori c’erano rapporti più umani, si facevano tornei di briscola. Un altro mondo".

Allora erano i primi anni Settanta, quelli delle prime telecronache.

"Papà si trasferì a Milano quando fu assunto dalla Rai. Ma lui era friulano. Punto. All’inizio a Milano si sentiva un po’ ‘prigioniero di guerra’, anche se poi qui ha trovato la sua dimensione e ha sempre rifiutato il trasferimento a Roma. Ci ha cresciuto in zona Sempione, andava al lavoro in bici, frequentava i locali come il Derby e i ristoranti di Milan e Inter, ‘L’assassino’ per i rossoneri e le ‘Colline pistoiesi’ per i nerazzurri".

Ma nel suo Friuli è voluto comunque tornare, una casetta immersa nel verde di Cormons.

"Aveva bisogno di ricongiungersi con la sua terra e gli amici come Dino Zoff, che è di Mariano del Friuli, al confine con Cormons".

Che ricordo sportivo di suo papà tiene nel cuore?

"Italia 90. Soprattutto per l’affetto che lui aveva per quella squadra. Che lui considerava la più forte e che, invece, raccolse meno di quello che avrebbe meritato. Le immagini più dolorose sono dell’Heysel, 29 maggio del 1985, finale di Coppa dei Campioni. Papà era lì, raccontò quella tragedia, ma non ne ha mai parlato volentieri".

Dall’album di famiglia, invece?

"Quando è nato il mio primo figlio, il suo primo nipote. Io e mia moglie eravamo in sala parto mentre c’era Italia-Nigeria ai Mondiali del ’94 negli Stati Uniti, sentivamo la voce del nonno dalla televisione nella stanza di medici e infermieri. L’Italia perdeva. Ma appena è nato Dario, abbiamo sentito che il risultato era stato ribaltato dalla voce del nonno. E avrebbe chiuso alla sua maniera: ‘È tutto molto bello’".