di Alessandro
Farruggia
Una partnership strategica, non un’alleanza militare. Il colloquio in videocoferenza svoltosi ieri tra Putin e Xi Jinping ha riconfermato le similitudini ma anche le diverse priorità di Mosca e Pechino. "Un posto speciale nell’intera gamma della cooperazione russo-cinese, per le nostre relazioni è occupato dalla cooperazione militare e tecnico-militare, che aiuta a garantire la sicurezza dei nostri paesi e mantenere la stabilità nelle regioni chiave. Miriamo a rafforzare l’interazione tra le forze armate russe e cinesi" ha detto Putin. Ma Xi, nel riconfermarla in termini generali e nel dirsi pronto "ad intensificare la cooperazione strategica con la Russia", ha spronato Putin a non respingere "una soluzione pacifica della crisi in Ucraina". La chiave di lettura la dà Alessandro Marrone, responsabile del programma difesa dell’Istituto Affari Internazionali.
Cosa significa alleanza strategica tra Mosca e Pechino?
"I due Paesi condividono una visione del mondo antioccidentale. Mosca vuole dimostrare che non è isolata e può contare su un partner importante come la Cina. Pechino vuole mantenere un partenariato strategico che è nell’interesse della Cina sul lungo periodo, per le risorse energiche e per la sua affermazione come potenza globale. Detto questo, oggi la Russia ha molto più bisogno della Cina che viceversa e le due agende divergono. La prima è impegnata in una guerra che non sta andando come sperava, la seconda non vuole assolutamente essere coinvolta. Non a caso la Cina si è guardata bene da intervenire direttamente o indirettamente in Ucraina".
Putin avrebbe un dannato bisogno delle armi cinesi. Non a caso si è ridotto a comprarne persino dall’Iran. Perché Pechino non dovrebbe fornirgliele, se davvero hanno una alleanza strategica?
"Non le ha fornite e, a mio avviso continuerà a non farlo, per due motivi. Il primo è che non vuole essere parte di una sconfitta russa in Ucraina, che si sta progressivamente delineando. Il secondo è perché su questo tema gli Stati Uniti hanno tracciato una linea rossa e Pechino non ha interesse a mettersi in rotta di collisione con loro su una questione che per la Cina è secondaria. Xi vuole mantenere il confronto con Washington solo sul dossier che a lei interessa prioritariamente: Taiwan. Su quello è disposta a forzare, ma preferirebbe evitarlo. Ritengo che di questo si sia francamente discusso nell’incontro Biden-Xi, nel quale entrambi i leader hanno delineato le loro priorità".
Russi e cinesi hanno però avviato da tempo esercitazioni e anche pattugliamenti aerei congiunti, in Asia.
"È vero, pattugliamenti ed esercitazioni navali in Asia e anche nell’Artico. E sono continuati anche dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Ma non sopravvaluterei la loro valenza. Sono voluti dai cinesi in chiave Taiwan, per far capire all’America che, nel caso, non sono soli. Ma non si va oltre una valenza dimostrativa".
Pechino non potrebbe trasformare il suo “non coinvolgimento“ nella guerra in Ucraina in vittoria strategica proponendosi come mediatore di successo?
"Improbabile. Per arrivare a una mediazione il mediatore deve essere accettato dalle due parti in causa, e Kiev vede Pechino troppo vicina alla Russia. E la stessa Pechino non ritiene opportuno per lei farsi coinvolgere, neppure come mediatore. Meglio stare da parte e trovarsi comunque con un’alleanza strategica con la Russia ma con la Russia in qualità di junior partner. Una cosa è certa, anche se questo in Occidente non piace, fino a quando Russia e Ucraina non saranno convinte che la possibilità di vittoria sul campo sia diventata improbabile non ci sarà trattativa di pace. Ad oggi, entrambe pensano di poter vincere militarmente e quindi non ci sono le condizioni per un tavolo negoziale".