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L’omicidio di Sofia Stefani non è un femminicidio. Lo ha chiarito il presidente della Corte d’Assise (e presidente del tribunale...
L’omicidio di Sofia Stefani non è un femminicidio. Lo ha chiarito il presidente della Corte d’Assise (e presidente del tribunale di Bologna) Pasquale Liccardo, all’apertura del processo contro l’ex comandante dei vigili urbani Giampiero Gualandi, 63 anni, che a maggio scorso uccise con un colpo di pistola d’ordinanza la collega, nonché amante, Stefani, 33 anni, nella sede della polizia locale di Anzola dell’Emilia (Bologna).
Ieri, ritualmente, si sono formulate in tribunale le richieste di costituzione di parte civile: oltre ai genitori della vittima, al suo fidanzato e al sindaco di Anzola (accolti), si sono presentate anche cinque associazioni anti violenza di genere, cioè Udi, Casa delle donne, Mondo donna, Sos donna e Malala. Tutte sottolineando come i loro statuti prevedano la partecipazione a processi per femminicidio. "Il fatto che Sofia fosse donna ha avuto un valore specifico nella scelta criminale dell’omicidio – così l’avvocato di Udi, Rossella Mariuz –. La sua relazione con Gualandi era di sottomissione e sfruttamento sessuale da parte dell’uomo, che approfittava della sua posizione lavorativa (Stefani era precaria alla polizia locale ed era stata congedata da quella di Anzola, mentre Gualandi era un suo capo, ndr), dei suoi 30 anni di più e delle fragilità psicologiche della donna. E quando lei ha violato questa ’subordinazione’, lui le ha sparato al viso, per cancellarne connotati e identità". Una ricostruzione cui la difesa (avvocati Claudio Benenati e Lorenzo Valgimigli) si oppone: "Non è questo un caso di sopraffazione o di dinamiche di possesso dell’uomo sulla donna tipiche di questi reati. È anzi il contrario: secondo la stessa imputazione, era lei che non si rassegnava alla fine della loro storia". E la Corte ha di fatto confermato questa tesi: "Dagli atti non si evince una connotazione specifica di femminicidio, perché mancano riferimenti alla lesione della sfera di autodeterminazione della donna, a maltrattamenti, discriminazioni e atti tipici della violenza di genere da parte dell’imputato sulla vittima". Respinte perciò le costituzioni delle cinque associazioni.
Non è d’accordo la madre di Sofia, Angela Querzé: "Certo che fu femminicidio – dice tra le lacrime –. Pure grave, perché Sofia era una giovane donna che cercava lavoro e perciò estremamente ricattabile da un uomo con30 anni di più, che la manipolava".
Per la difesa, l’omicidio fu un incidente e Gualandi sparò per errore al culmine di una colluttazione con Sofia, che lo aveva aggredito perché "non si rassegnava" alla fine della loro storia.