Sabato 31 Agosto 2024
CORRADO PIFFANELLI
Cronaca

Il calcio del principe saudita. Shopping da 700 miliardi "Saremo il centro del mondo"

Bin Salman vuole uscire dalla dipendenza dal petrolio e pulire l’immagine di un Paese anti diritti umani. Dalle offerte faraoniche ai giocatori alle partecipazioni nelle società dell’intrattenimento americane

L'erede al trono saudita Mohammad Bin Salman compirà 38 anni il 31 agosto

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Roma, 15 agosto 2023 – Come può uno scoglio arginare il mare? Roberto Mancini può passare da un contratto attorno ai 3 milioni l’anno con la Nazionale azzurra a uno che oscilla tra 40 e 60. Al di là del giudizio sulla scelta dell’ex ct, la notizia ferragostana ha fotografato una realtà con la quale faremo presto i conti: tutti o quasi i protagonisti migliori della vecchia Europa si trasferiranno nella Saudi League, violentando il nostro calcio con una bolla inflattiva fortissima e trasferendo il baricentro finanziario, televisivo, diplomatico a Riad, dove nel giro di un decennio Infantino porterà anche il Mondiale.

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Questo non è più un gioco. È una strategia socio-finanziaria tra l’altro dichiarata ufficialmente dal 2016 quando col programma Vision 2030 l’Arabia ha programmato di uscire in una decina d’anni dalla dipendenza dal petrolio e diversificare i propri asset. Ha così deciso su due piedi, per restare in tema, di investire pesantemente i 700 miliardi di dollari del fondo sovrano Pif in tutti i settori per fare del Golfo l’hub mondiale dell’intrattenimento e rimodulare scientificamente le entrate di un Paese giovanissimo (70% dei 36 milioni di abitanti è sotto i 35 anni) e determinato a scalare un ruolo da protagonista nel mondo. Mohamed bin Salman, figlio del re Salman ed erede al trono, si è preso oltre alla presidenza dell’esecutivo anche la regia della pianificazione economica e da appassionato di calcio e di gaming, ha avviato uno shopping compulsivo in tutto il mondo con l’obiettivo di approvvigionare il Paese di fonti di reddito diverse dal petrolio.

La lista della spesa fa paura. Pif ha speso otto miliardi per acquisire e costruire società di gaming ovunque; ha acquistato partecipazioni azionari di Nintendo, Uber, Live Nation (concerti), Boeing, Facebook, Citygroup, Disney, Bank of America, McLaren e, acquisto rivelatore, il Newcastle in Premier League. Non solo: già che c’era nella zona si è preso anche tutta la ricca filiera dell’eolico, giusto per avere ben chiaro cosa sarà il futuro.

Il principe si muove su due livelli: azionando la leva dello sport washing ripulisce l’immagine di un Paese compromessa dall’omicidio del giornalista Kashoggi e dalla violazione denunciata dei diritti umani; muovendo le leve finanziarie del fondo Pif scala l’economia mondiale sedendosi ai tavoli del soft power internazionale e accreditandosi come first mover del mondo arabo, meno legato al petrolio, giovane, dinamico e moderno. Un piano in 85 pagine che sotto il nome di Vision 2030 fa il verso a quanto già avviato da altri Paesi dell’area ma con un volume di fuoco di un Paese sterminato e di risorse naturali spiazzanti.

L’Italia che sonnecchiava in vacanza mentre Mancini inviava la sua fredda Pec a Gravina si è accorta d’un colpo di essere un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro. Umiliata da dati terribili (5 stadi nuovi costruiti negli ultimi anni contro i 30 di Polonia e Turchia, i 18 della Germania e i 16 della Russia), non si qualifica alle Olimpiadi dal 2008 e ai Mondiali dal 2014. Gravina ha perso in una settimana entrambi i ct senza avere una alternativa pronta. Ogni anno squadre mai controllate da nessuna autorità falliscono e si scatena la guerra dei Tar per i ripescaggi. Le società indebitate come nessuno e senza la capitalizzazione degli stadi vivono appese a un filo. In questo deserto Mancini aveva acceso una luce con l’incredibile e a tutt’oggi incomprensibile vittoria dell’Europeo.

Ma, lungi dal risolvere i problemi del nostro calcio, li ha aggravati: sono arrivati sempre più stranieri, addirittura si considerano gli inglesi come comunitari per ridurre ancora più le possibilità dei nostri giovani che, infatti, devono andare all’estero per giocare. L’Europeo vinto ha convinto tutti di essere più bravi di quanto in realtà siamo: resta da sperare che l’addio di Mancini, verso mondi che vanno a velocità imparagonabili alle nostre, ci regali non già un Europeo, ma di nuovo un’Italia da ricostruire.