"Senza dubbio il fenomeno si attenuerà. Quando l’epidemia finirà del tutto? È difficile dirlo". Così l’epidemiologo Carlo La Vecchia, 65 anni, docente all’Università di Milano, già capo dipartimento all’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri.
Professore, proviamo un confronto tra la Spagnola, la Sars e il Covid-19. L’andamento delle curve raggiunge un picco, scende, risale fino a un secondo picco più basso e sparisce in un paio d’anni. Sarà così anche per il nuovo Coronavirus?
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"Le previsioni più ottimistiche dicono che il calo potrebbe venire alla fine dell’inverno o nel secondo semestre del prossimo anno. Di certo l’arrivo di un vaccino cambierebbe lo scenario, in caso contrario si ridimensionerà comunque, perché scende la quota di persone suscettibili all’infezione, sarebbe allora una malattia endemica, che si ripresenta in numeri più limitati".
Ma un paragone con le grandi epidemie del passato da dove potrebbe iniziare?
"Occorre fare grosse distinzioni. La Spagnola come influenza fu una malattia totalmente diversa. Questo Coronavirus è simile come famiglia alla Sars, ma si comporta in altro modo. La Sars era più grave, e quando nessuno se l’aspettava scomparve".
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Alcuni esperti ritenevano che il Covid si sarebbe smorzato causando comuni raffreddori.
"Ci sono 4 coronavirus che circolano da decenni causando raffreddori. Questo Sars-Cov-2 però è stabile, caratteristica che facilita la messa a punto del vaccino. Oggi, fatta eccezione per le persone molto fragili, nella stragrande maggioranza dei casi non porta a morte. Abbiamo anche imparato a gestire meglio le cure, fare diagnosi in anticipo".
La Spagnola fu un flagello.
"Uccideva i giovani. Gli anziani avevano una sorta di immunità che derivava dalle epidemie influenzali di fine Ottocento. Uno degli aspetti di questa pandemia è che risparmia bambini e adolescenti, e meno male, sennò saremmo disperati".
Rischiamo una seconda ondata, un nuovo lockdown o misure ancora più stringenti?
"Finora sembra di no, questo vale per la Lombardia piuttosto che a New York. La possibilità che in aree risparmiate del Centro-Sud Italia arrivi un’epidemia come si è visto in Texas due mesi dopo New York è una eventualità, però anche qui saremmo in grado di gestirla meglio. Quindi non mi aspetto un’altra tragedia intesa come numero di morti e ricoverati in terapia intensiva. Che ci siano tantissimi casi è indubbio, ma a marzo ne avevamo quantità indefinite".
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Le grandi pandemie del passato che cosa insegnano?
"Da milioni di anni conviviamo con i virus, e ogni volta il fenomeno ci sorprende. Ma per la prima volta nella storia del genere umano monitoriamo con test che permettono di cogliere anche gli asintomatici. E i lockdown sono stati una misura senza precedenti".
In che modo è cambiata la prevenzione?
"L’approccio rispetto all’asiatica del 1956 o alla Spagnola del 1918-19 è stato totalmente diverso. Anche il numero di morti registrato, circa un milione per la Sars-Cov-2. Consideriamo che la Spagnola provocò cinquanta milioni di morti. L’impatto stavolta è stato di molto inferiore in virtù dell’atteggiamento adottato. Siamo spaventati per quel che è accaduto in primavera, ma qui c’è un virus responsabile ora del 2-3 per cento dei decessi. Distanziamenti, tracciamento e mascherine servono per rallentare l’epidemia e permettere ai servizi sanitari di gestirla".
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